Tumore alla prostata, casi in aumento in Italia
Un uomo su otto in Italia farà i conti con una diagnosi di tumore alla prostata, il tipo di cancro più frequente fra i maschi e i cui casi nel nostro Paese sono ai aumento da anni. Da un lato perché cresce il numero di anziani e questa neoplasia (come tutte, del resto) nella grande maggioranza dei casi interessa uomini over 65enni. Dall’altro perché sono sempre più diffusi quegli stili di vita scorretti, a partire da sovrappeso e cattiva alimentazione, che fanno salire il pericolo di ammalarsi, anche prima dei 50 anni. Infine bisogna considerare che, sottoponendosi a controlli regolari soprattutto con il test del Psa, un numero maggiore di uomini scopre la presenza di un tumore poco aggressivo, ai primi stadi, prima che provochi sintomi. Ne hanno discusso gli specialisti dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), riuniti nei giorni scorsi a Bari per il convegno nazionale «News in GU Oncology» dedicato alle neoplasie genito-urinarie e alle novità medico-scientifiche emerse dal congresso americano «Asco Genitourinary Cancer (GU) Symposium».
Chi rischia di più
«Nel 2022 i nuovi casi di carcinoma prostatico registrati in Italia sono stati 40.500, erano 34.800 nel 2017: c’è quindi stato un aumento del 16% in soli cinque anni — dice Saverio Cinieri, presidente nazionale Aiom —. Le cause possono essere diverse, a cominciare dal continuo invecchiamento generale della popolazione. È poi fondamentale che gli uomini, di tutte le età, si impegnino a limitare i fattori di rischio noti per questo e molti altri tipi di cancro: dalle cattive abitudini alimentari, al conseguente sovrappeso, alla sedentarietà. Una recente ricerca americana lo ha ribadito: con una dieta ricca di verdure e frutta cala anche, per chi già rientra nella categoria dei pazienti, il rischio di progressione del tumore e ricadute. Per i sani a far lievitare le probabilità di ammalarsi sono soprattutto un alto contenuto di proteine nella dieta e la sindrome metabolica, una patologia caratterizzata da aumento della circonferenza dell’addome, ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, ridotti livelli di colesterolo “buono” Hdl e aumento della glicemia a digiuno. Se si hanno anche solo tre su cinque di queste caratteristiche si soffre di sindrome metabolica e sale il rischio di cancro perché si crea un microambiente favorevole alle cellule cancerose per svilupparsi e prolificare».
Chi ha una familiarità per questa patologia è poi più a rischio non solo di ammalarsi, ma anche di avere una neoplasia più aggressiva e in età più precoce: ovvero gli uomini con parenti di primo grado (padre e fratelli) con la tumore della prostata, soprattutto se manifestata in età inferiore ai 55 anni. Oppure quelli che hanno familiari con un tumore ereditario della mammella e/o dell’ovaio ( per via dei geni BRCA).
Il test del Psa
La crescita dei casi può essere anche in parte ricondotta all’ uso «a tappeto» dell’esame del Psa che si effettua tramite un normale prelievo di sangue e misura l’antigene prostatico specifico. È un utile strumento di diagnosi precoce del tumore alla prostata: può favorire la scoperta della malattia in stadio iniziale, quando è più facile da curare e si può guarire definitivamente. Oggi è però anche certo che può portare a molti casi di diagnosi e trattamenti in eccesso perché vengono anche individuati i tumori cosiddetti «indolenti», che clinicamente non sono significativi (in pratica potrebbero non comportare mai alcuna conseguenza per la salute degli uomini), con il rischio di un conseguente sovra-trattamento (cioè l’adozione di terapie inappropriate che comportano costi inutili per il Sistema sanitario e, in termini di effetti collaterali, anche per i pazienti).
Oggi, secondo gli esperti, il Psa è utile e va consigliato agli uomini che hanno sintomi prostatici, ovvero problemi urinari, a partire dai 50 anni e quelli che hanno familiarità dovrebbero iniziare tra i 40 e i 45 anni. Spiegando però bene quali sono i vantaggi e i limiti della metodica e cosa potrebbe essere necessario effettuare qualora questo esame risultasse non nei limiti di normalità.
Le terapie
Quando viene diagnosticato un tumore alla prostata le terapie oggi a disposizione sono molte: negli stadi iniziali chirurgia, radioterapia e brachiterapia si sono dimostrate in grado di offrire risultati molto buoni, in termini sia di guarigione sia di lungo-sopravvivenza. Sono opzioni valide e sovrapponibili soprattutto per quelle forme a rischio di progressione basso e intermedio (ovvero, in pratica, con poche probabilità di evolvere e dare metastasi), che sono la maggioranza. Alle persone con un carcinoma di piccole dimensioni e minima aggressività, viene anche proposta la sorveglianza attiva, che consiste in esami e controlli periodici.
« Nei casi di neoplasia in fase avanzata o metastatica si può poi procedere con diversi farmaci che vengono prescritti in base alle caratteristiche del singolo paziente — spiega Marcello Tucci, direttore dell’Oncologia all’Ospedale Cardinal Massaia di Asti —. Abbiamo sia l’ ormonoterapia, sia diversi altri trattamenti che sono efficaci nel prolungare, anche di anni, la sopravvivenza con una buona qualità di vita. Le evidenze scientifiche presentate all’ASCO GU di San Francisco aprono novità interessanti sull’utilizzo di terapie ormonali sia per la malattia ormono-sensibile che per quella resistente alla castrazione. Stiamo “raffinando” le cure utilizzabili, sempre in un’ottica di una maggiore personalizzazione dei trattamenti. È una tendenza che è in corso da almeno 20 anni e ci ha consentito di arrivare ad oltre il 90% di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi».
I sintomi
Difficoltà a iniziare la minzione, flusso urinario debole, incompleto svuotamento della vescica, elevata frequenza delle minzioni, urgenza di svuotare la vescica e presenza di minzioni notturne: sono i sintomi (molto comuni nei maschi over 50 perché tipici anche dell’ipertrofia prostatica benigna) che non devono essere sottovalutati e ignorati. Basta parlarne con il medico di famiglia che valuterà se è necessaria la visita con lo specialista urologo.
«Individuare un tumore ai primi stadi significa avere maggiori probabilità di combatterlo in modo risolutivo e con cure meno invasive — ricorda Camillo Porta, ordinario di Oncologia medica all’Università Aldo Moro di Bari e direttore della Divisione di Oncologia medica del Policlinico di Bari —. Mentre prosegue la ricerca di nuove terapie che offrano soluzioni utili in quei casi di neoplasie metastatiche per le quali oggi non abbiamo soluzioni efficaci, dal congresso negli Stati Uniti arrivano anche nuove e interessanti conferme sull’intelligenza artificiale multimodale e sono stati presentati i dati di uno studio pubblicato di recente sul Journal of Clinical Oncology. Queste nuove tecnologie sono utilizzate per sviluppare biomarcatori che possano darci informazioni prognostiche più dettagliate e anche una serie di parametri predittivi sulle possibili risposte ad alcuni trattamenti.
«In altre parole possiamo favorire la medicina oncologica personalizzata e prevedere se alcune terapie mirate sono efficaci, o meno, sul singolo caso. Quello americano è uno studio di fattibilità, un trial randomizzato di fase 3 cha coinvolto oltre mille uomini con carcinoma prostatico localizzato ad alto rischio. I primi dati emersi sono molto interessanti, ma andranno confermati coinvolgendo altri gruppi di pazienti. I biomarcatori, creati grazie all’intelligenza artificiale, non sono però ancora utilizzabili nella pratica clinica quotidiana (in Europa e negli Usa). Rappresentano comunque una prospettiva futura dalle grandi potenzialità e la ricerca deve proseguire», conclude Porta.