Starace (Enel): «Via l’energia elettrica da gas nelle case. Con pannelli e pompe di calore la bolletta si dimezza»
L’ad: «Paesi come l’Italia hanno la possibilità di uscire dalla dipendenza nel giro di quattro anni»
Gli stati dell’Unione europea devono agire tutti assieme per ridurre la dipendenza energetica da altri paesi e passare a un nuovo modello di consumi di energia elettrica prodotta con il metano soprattutto per usi domestici,. Paesi come l’Italia hanno la possibilità di uscire dalla dipendenza nel giro di quattro anni, se si innesca la spinta a non usare energia elettrica prodotta da gas per cucinare o per il riscaldamento, puntando su pannelli fotovoltaici e pompe di calore. Lo ha detto l’ad di Enel, Francesco Starace, intervistato dal giornalista Paolo Mieli al Festival dell’Economia di Trento.
In 4 anni l’Italia può dimezzare il fabbisogno di metano
«Questo modello funziona perché è economicamente più conveniente – ha spiegato -. Lo hanno capito gli operatori, ma la novità di questa nuova crisi energetica è che questo lo sta capendo anche la società. Quando installi un panello fotovoltaico sul tetto e scopri che la bolletta elettrica si dimezza poi non torni più indietro». Secondo Starace limitando l’utilizzo di energia elettrica prodotta da gas solo ai settori industriali l’Italia può dimezzare il fabbisogno di metano, che oggi è pari a 75 miliardi di metri cubi l’anno.
Sull’energia i paesi Ue devono muoversi assieme
Per il manager è indispensabile agire anche sulla diversificazione delle fonti approvvigionamento di gas: importare da più paesi il gas via tubo, che costa di meno, e aumentare l’utilizzo del gas liquefatto, che costa di più ma consente di acquisire maggiore potere negoziali nei confronti dei paesi che fornisco il gas attraverso i gasdotti. L’importante, secondo il manager, è che i paesi europei si muovano assieme. “E’ necessario perché si è visto, dopo questa crisi, che in realtà l’impatto colpisce l’intera economia europea, perché attraverso l’energia le economie europee sono strettamente interconnesse – ha detto Starace -. E’ possibile agire in tanti modi, tra cui fare una politica di infrastrutture che permettano di usare il gas che viene da altre fonti, fare una politica di negoziato comune nei confronti dei fornitori, fare quello che il premier Draghi sta cercando di fare, è che è fondamentale nel breve periodo”. E cioè mettere un tetto al prezzo di acquisto del gas.
Bene il premier sul tetto al prezzo del gas
«E’ necessario cercare di porre un limite alla volatilità del gas nella borsa Ttf di Amsterdam. Lì ci sono dinamiche di prezzo che non hanno alcuna giustificazione tra domanda e forniture». E ancora per Starace «nella Ue c’è molta gente che vede con chiarezza questa logica, cioè usciamo dall’uso del gas che non ha più senso economico. Nel piano RePowerEu c’è molta enfasi su tutte le misure di cui abbiamo parlato per spingere gli investimenti» per assumere «decisioni e anche realizzare modifiche di politiche amministrative per favorire questo sforzo». La convinzione del manager «è che la crisi in Ucraina abbia accelerato questa traiettoria».
Rigassificatori, in passato non c’era convenienza a realizzarli
«Il mercato del gas liquefatto ha cominciato solo negli ultimi anni ad avere una dimensione globale; prima era un settore di nicchia» ha spiegato il manager. «Enel è stata una delle prima aziende a firmare contratti di acquisto dagli Stati Uniti«, ha aggiunto. Secondo Starace l’Italia avrebbe potuto spingere di più sui rigassificatori dopo la crisi libica, quando già in quell’occasione emerse i rischi di dipendere in modo importante dalle importazione da un paese. «Dieci anni fa avremmo potuto fare qualche rigassificatore in più – ha affermato – anche se è vero che allora non c’era una convenienza economica a realizzarli. Un rigassificatore o due in più si sarebbero comunque potuti fare anche fare dal punto di vista del costo da sostenere. L’Italia è un paese grande, importante. Ci vogliono 3 anni per farne uno di questi impianti; il costo è attorno a 800 milioni per una capacità da 8 miliardi di metri cubi. E’ una cosa alla portata di un paese industriale come l’Italia. Forse alla luce di quello che stava accadendo in Libia mettersi al sicuro sarebbe stata una buona idea, ma sono ragionamenti con il senno di poi. Oggi è ovvio che servono perché la situazione che viviamo non è destinata a tornare alla normalità nel breve termine e anche se lo diventasse, si presenterebbe un’altra crisi da un’altra parte».