Sotto i 65 anni i vaccini anti-covid aumentano il rischio di morte: lo studio postmarketing di Pfizer
Sotto i 65 anni i vaccini anti-covid aumentano il rischio di morte: lo studio postmarketing di Pfizer
Il 2021 è stato l’anno dei vaccini anti-covid, che ad oggi sono divenuti di fatto più o meno obbligatori, almeno in Italia. Il fine dichiarato di tale obbligo (o quasi) sarebbe quello di salvare tante vite umane.
Tuttavia l’analisi obiettiva dei dati statistici ufficiali, verificabili da chiunque, fa emergere una verità ben diversa: se si guarda alla mortalità generale sembra che il rapporto rischi/benefici dei vaccini non sia positivo per tutte le fasce di età.
Anzi sembrerebbe che per la gran parte della popolazione (soprattutto per i giovani) i rischi siano maggiori dei benefici.
I dati pubblicati su Euromomo
Si considerino innanzitutto i dati sulla mortalità pubblicati su euromomo, che aggregano quelli di diversi paesi, in gran parte europei (ma anche di Israele). Si tratta nel complesso di paesi ad elevato tasso di vaccinazione.
La seconda sezione della pagina mostra i grafici relativi agli eccessi di mortalità in ogni fascia di età. La pagina è predisposta per confrontare gli ultimi anni nella loro interezza.
Tuttavia, al fine di valutare l’impatto dei vaccini, considerato che la malattia Covid-19 ha cominciato a mietere vittime in Europa a partire dalla decima settimana 2020 (corrispondente agli inizi di marzo) è opportuno escludere dal confronto le prime 9 settimane. (Non avrebbe senso includere nel confronto le prime nove settimane, perchè è scontato che nelle prime nove settimane del 2021 (in piena terza ondata di covid) la mortalità sia stata più alta delle prime nove settimane del 2020, quando il covid era praticamente assente in europa. Invece confrontare i periodi marzo-dicembre 2021 vs marzo-dicembre 2020 è significativo, in quanto entrambi caratterizzati dall’epidemia da Sars-Cov-2.)
Pertanto predisponiamo il confronto dalla decima settimana in poi:
Come si può notare, i risultati ottenuti nella mortalità “per tutte le età” non si discostano dall’atteso: sia il 2021 che il 2020 sono caratterizzati da eccessi di mortalità ben maggiori del 2019, ma il 2021 è comunque andato meglio del 2020, presumibilmente proprio “grazie” ai vaccini. Ciò è in accordo con il fatto che nella stragrande maggioranza dei paesi europei la Covid-19 ha mietuto più vittime nel 2020 che non dopo marzo 2021, com’è facile verificare anche facendo una semplice ricerca dei decessi covid su Google.
Andando però a controllare i grafici successivi, che analizzano la situazione nelle diverse fasce di età, scopriamo che la mortalità del periodo marzo-dicembre 2021 è cresciuta, anche di molto, rispetto all’analogo periodo 2020, in tutte le fasce di età sotto i 65 anni:
A cosa è dovuta questa discrepanza?
Innanzitutto va chiarito che l’età media dei deceduti per Covid19, almeno in Italia, è di 80 anni. Dato attestato dal report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 in Italia (pag. 1) e confermato anche negli ultimi mesi del 2021, come si evince dall’ultimo bollettino ISS (pag. 27)
Pertanto è normale che i benefici dei vaccini, in termini di riduzione della mortalità generale, si “concentrino” sopra i 65, o, ancora meglio, sopra i 75 anni di età.
Questo tuttavia di per sé non è sufficiente a spiegare gli evidenti eccessi di mortalità sotto i 65 anni. Quel che è certo è che si tratta di eccessi non imputabili alla Covid-19: basta controllare i periodici bollettini dell’ISS sull’epidemia per verificare che la riduzione della mortalità da Covid-19 nel 2021 (almeno a partire da marzo) ha interessato tutte le fasce di età.
Pertanto gli eccessi che troviamo nel periodo marzo-dicembre 2021 rispetto al 2020 sono dovuti certamente a mortalità non-covid.
E’ plausibile ipotizzare un ruolo delle vaccinazioni in tali eccessi?
I dati dell’ONS e le analisi di vari ricercatori
Un recente “pre-print” di uno stimato ricercatore della Columbia University, Spiro Pantazatos, che analizza sia i dati europei che statunitensi, segnala una formidabile correlazione temporale, territoriale e per fascia di età tra l’andamento delle vaccinazioni e gli eccessi di mortalità.
A provare l’esistenza di una “mortalità da vaccino” sono anche i dati pubblicati dall’ONS, l’istituto di statistica inglese.
Tali dati, in atto aggiornati al 31 ottobre 2021, forniscono informazioni sul progresso delle vaccinazioni nelle varie settimane del 2021 e sull’andamento della mortalità sia generale che per covid in varie fasce di età. Sottraendo la mortalità covid da quella generale è ovviamente possibile calcolare la mortalità non-covid.
Dall’analisi di questi dati si evince che, in ogni fascia di età ad ogni picco di vaccinazioni segue, nelle settimane successive, un anomalo picco di mortalità non-covid (nota: nell’indagine ONS sono da prendere in considerazione solo le fasce 60-69, 70-79 e 80+, perché la fascia 10-59 è troppo ampia per dare informazioni attendibili.). Tale fenomeno si verifica in maniera pressochè analoga sia con le prime che con le seconde dosi.
Va evidenziato che i picchi di mortalità si presentano nelle varie fasce di età in periodi diversi, seguendo i diversi periodi in cui ogni fascia di età ha raggiunto un picco di vaccinazioni.
Un’altra anomalia consiste nel fatto che la prima dose sembrerebbe far crescere la mortalità dei “non vaccinati”, mentre la seconda dose quella dei “vaccinati con una dose”.
L’idea di Norman Fenton, professore alla Queen Mary University
Il matematico inglese Norman Fenton, professore alla Queen Mary University di Londra, ha avanzato quella che probabilmente rappresenta l’unica spiegazione possibile per tali anomalie: è noto che i vaccini espletano la loro efficacia dopo almeno 14 giorni dalla somministrazione, pertanto è verosimile che l’ONS abbia catalogato come “non vaccinati” i deceduti entro i 14 giorni dalla prima dose e come “vaccinati con una dose” i deceduti entro i 14 giorni dalla seconda dose. Se si tiene conto anche del verosimile ritardo con cui i decessi vengono registrati i “conti” tornano.
Pertanto la logica deduzione di tali anomalie è che le vaccinazioni anti-covid determinano, ad ogni dose, un certo tasso di mortalità non-covid, almeno nel breve termine.
Questo dovrebbe bastare a rendere plausibile l’ipotesi che gli eccessi di mortalità emersi per eccessi di mortalità emersi sotto i 65 anni di età nel periodo marzo-dicembre 2021 rispetto al 2020 siano correlabili alle vaccinazioni.
Ma non è tutto. A rendere plausibile tale ipotesi sono anche gli stessi trial della Pfizer, utilizzati per ottenere l’autorizzazione della FDA e dell’EMA per quello che ad oggi è presumibilmente il vaccino anti-covid più utilizzato nel mondo occidentale.
I trial della Pfizer e il documento “riservato” sugli effetti avversi
Di recente sulla prestigiosa rivista scientifica “The New England Journal of Medicine” è stato pubblicato uno studio sulla sicurezza ed efficacia del vaccino Pfizer a 6 mesi dalla prima dose: “Safety and Efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine through 6 Months”
A pag. 7 dello studio si legge che “during the blinded, placebo-controlled period, 15 participants in the BNT162b2 group and 14 in the placebo group died”, ovvero 15 partecipanti del gruppo vaccinati e 14 del gruppo “placebo” sono deceduti (BNT162b2 è la sigla del farmaco in questione). Dopo aver ottenuto l’autorizzazione della FDA, i partecipanti al gruppo placebo sono stati lasciati liberi di vaccinarsi. L’articolo prosegue affermando che successivamente si sono registrati altri 3 decessi nel gruppo vaccinati, nonchè due negli “ex-placebo” che hanno deciso di vaccinarsi.
Il Report FDA
Anche un rapporto pubblico della FDA affronta la questione (cfr pag. 23) Facendo forse delle stime statistiche proiettive, la FDA riporta che “From Dose 1 through the March 13, 2021 data cutoff date, there were a total of 38 deaths, 21 in the COMIRNATY group [il gruppo dei vaccinati, NdR] and 17 in the placebo group”. (“Dalla Dose 1 fino alla data di cutoff dei dati del 13 marzo 2021, ci sono stati un totale di 38 decessi, 21 nel gruppo COMIRNATY [il gruppo dei vaccinati, NdR] e 17 nel gruppo placebo”.)
Sia lo studio della Pfizer che il rapporto della FDA precisano che nessuno di questi decessi è stato considerato correlato al vaccino.
Tuttavia l’obiettivo dei trial è proprio quello di utilizzare gruppi “confrontabili”, ovvero standardizzati per vari fattori potenzialmente confondenti (età, sesso, condizioni di salute, ecc…), in modo tale che le differenze statisticamente significative che dovessero emergere nei due gruppi siano indicative degli effetti, positivi o negativi, del farmaco testato.
Infatti proprio sulla base di questi trial, che hanno mostrato una elevata efficacia nel prevenire le forme gravi di Covid-19, il vaccino in questione ha ottenuto l’autorizzazione.
Pertanto è obiettivamente troppo sbrigativo affermare che non ci sia una correlazione con il vaccino se nel gruppo dei vaccinati è emerso un eccesso statisticamente significativo (+23%) dei decessi a sei mesi dalla prima dose.
Sarebbe infatti troppo comodo considerare come validi solo i risultati dei trial che convengono.
Il motivo per cui ciò è avvenuto nel caso dei trial Pfizer consiste verosimilmente nel fatto che gli effetti collaterali che sono stati attribuiti al vaccino sono generalmente non fatali.
L’appendice allo studio
La Tabella S4, pubblicata nell’Appendice allo studio, riporta le cause di morte attribuite ai decessi registrati sia nel gruppo dei vaccinati che dei non vaccinati:
Si può così notare, ad esempio, che nei pochi mesi in cui i due gruppi sono stati “blindati” (ovvero verosimilmente fino a gennaio 2021), si sono verificati 4 decessi per arresto cardiaco tra i vaccinati e 1 tra i non vaccinati.
Sul portale dell’Humanitas vengono elencate le principali cause di arresto cardiaco. Tralasciando le sindromi genetiche o le cause trumatiche, si chiarisce che l’arresto cardiaco può essere causato da aritmie, infarto, scompenso cardiaco terminale o grave miocardite.
Si tratta di condizioni che, sebbene ufficialmente non riconosciute come effetti collaterali del vaccino Pfizer (ad eccezione forse della miocardite), rientrano curiosamente nella “lista degli eventi avversi di speciale interesse” stilata in un documento classificato come “Confidential” dalla stessa Pfizer.
Il documento “riservato” sugli effetti avversi
Il documento in questione, denominato “CUMULATIVE ANALYSIS OF POST-AUTHORIZATION ADVERSE EVENT REPORTS OF PF-07302048 (BNT162B2) RECEIVED THROUGH 28-FEB-2021” è stato recentemente pubblicato da una ONG, che ha dovuto ricorrere al giudizio di un Tribunale per ottenerne il rilascio da parte della Pfizer. Esso elenca le reazioni avverse che la stessa Pfizer ha giudicato di “speciale interesse”, stilata in un documento classificato come “Confidential” dalla stessa Pfizer.
La lista dei danni avversi
La lista completa, riportata nelle ultime 9 pagine del documento, è costituita da centinaia di diverse patologie, molte delle quali potenzialmente fatali. E si tratta solo di quelle registrate entro il 28 febbraio 2021!
In ogni caso sono già sufficienti a rendere plausibile una correlazione con le vaccinazioni per gli eccessi di mortalità riscontrati nei trial e nei cittadini europei <65 aa. nei mesi marzo-dicembre 2021. Tale documento potrebbe inoltre avere profonde implicazioni legali in riferimento alla gran parte delle “morti sospette” che finora sono state liquidate con la solita “nessuna correlazione” con il vaccino Pfizer.
La questione della mortalità neonatale
A questo punto si potrebbe obiettare che, se è vero che quanto fin qui argomentato potrebbe anche spiegare gli eccessi di mortalità emersi per le fasce di età 15-44 e 45-64 anni negli ultimi 9 mesi, rimane ancora oscuro l’eccesso di mortalità della fascia 0-14 anni, che non è ancora stata coinvolta nelle vaccinazioni, se non in minima parte.
In realtà la mortalità in questa fascia di età è solitamente rappresentata in gran parte da decessi entro il primo anno di vita, come riporta ad esempio il portale dell’Unicef.
Non è quindi difficile ipotizzare un ruolo delle vaccinazioni in gravidanza per tali eccessi di mortalità.
I rischi dei vaccini non riguardano solo la mortalità
A rendere ancora più negativa la valutazione del rapporto rischi/benefici dei vaccini vi è la considerazione che la morte non è certo l’unico rischio connesso ai vaccini anticovid, anzi forse è, per fortuna, il meno frequente.
Per ogni decesso connesso ai vaccini esistono probabilmente decine di casi di reazioni avverse gravi, anche se non fatali. Questo almeno è quello che sembra emergere dal nono rapporto sulla sorveglianza dei vaccini anticovid dell’AIFA (A pag. 12 è riportato che il 14,4% delle reazioni segnalate è costituito da reazioni gravi, di cui lo 0,6% è rappresentato da decessi. Pertanto per ogni decesso connesso al vaccino è presumibile che esistano circa 23 reazioni gravi non fatali nel breve termine), sebbene i casi ivi conteggiati rappresentino verosimilmente solo la “punta dell’iceberg” delle reazioni avverse totali, che potrebbero essere molto spesso non segnalate per vari motivi (ad es. mancato riconoscimento della correlazione, mancata conoscenza delle modalità di segnalazione oppure anche mancanza di interesse alla segnalazione, magari in quanto ritenuta inutile).