PARLA 112 LINGUE, HA SOLO LA LICENZA ELEMENTARE, 94 ANNI E VIVE IN PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, COLTIVANDO LA TERRA ED ALLEVANDO ANIMALI
Riccardo Bertani, dopo le elementari ha studiato da autodidatta idiomi dimenticati: dal mongolo alle lingue siberiane, pubblicando oltre 1000 volumi. Ribelle fino in fondo, il contadino poliglotta si prepara col sorriso ad andare “verso l’infinito”. Bertani, in 70 anni di studi e traduzioni ha scritto e realizzato più di 1000 volumi, arrivando a conoscere da autodidatta oltre 100 lingue.La sua storia, quella del contadino poliglotta, o del glottologo dell’ “7estremo mattino”, è davvero particolare. Nato nel 1930 in una famiglia contadina, con il padre ex sindaco iscritto al partito comunista, lasciò la scuola appena dopo le elementari. “Era castrante, sono fuggito. Mi interessava altro. Devo dire che solo una maestra mi capì”. Allergico alla matematica, iniziò a lavorare nei campi “ma ero e sono un contadino sbagliato, non certo un contadino modello”.Perché più che le biolche da coltivare o gli animali da allevare “io avevo sempre in testa i libri – racconta – quelli che cominciavo a capire”. Nell’abitazione dei genitori, in quegli anni dell’Italia fascista, c’erano per lo più solo tomi russi. Bertani inizia giovanissimo a sfogliare Tolstoj, a leggerli in italiano, poi compra una grammatica russa e approfondisce: “Ho iniziato a tradurre. Intorno ai 18 anni non facevo altro. Ero attratto dall’Oriente, la Russia, l’Ucraina”. Era attratto dall’alba. “Da anni, mi sveglio alle due del mattino e mi preparo all’arrivo del sole. A quell’ora il mio cervello non sta fermo, ho la mente limpidissima, così comincio a studiare”. È l’amore per l’estremo mattino.Crescendo tra la biblioteca comunale e amici che lo sommergono di volumi lui si immerge completamente nelle lingue. È attirato come una calamita dalle culture dei popoli siberiani, russi, mongoli. Vuole sapere come vivevano, come quei dialetti si spostavano. Comincia a scrivere tutto a mano sulle agende delle banche, annota i significati delle parole, la pronuncia. “Mi interessa il folklore, le tradizioni, le leggende. Lo sa che i siberiani hanno un’altra preparazione al concetto della morte? Non è un concetto così distinto dalla vita”.In 70 anni di lavoro (la sua bibliografia va dal 1956 ad oggi) esplora lingue sconosciute e dimenticate, rendendole comprensibili per gli italiani. Un patrimonio che ha deciso di lasciare a tutti noi: la sua casa è diventata un Fondo e lui – che nella vita si scriveva lunghe lettere con Claude Lévi-Strauss per conversare sulla mitologia germanica – invita gli appassionati di lingue scomparse ad andarlo a trovare, a leggere quel che ha scritto.Sospinto dal vento freddo che lo porta nella “tundra e la taiga” ha imparato lo Jacuti, Jugakiry, Burlati, il basco, le lingue etrusche e longobarde, il mongolo, l’eschimese e tantissime altre creando dizionari veri e propri: “Ecco, questo è il Rutulo-Italiano, quest’altro il Prusso-Italiano” spiega mentre tira fuori ogni sorta di carpetta con le immagini dei mondiali anni Novanta.È un uomo lucido, visionario, estremamente appassionato. “Non so l’inglese, né il tedesco – racconta seduto alla sua scrivania – non ho la patente e a parte per i documentari di animali e scienza, non guardo la televisione. Internet? Ma va là”. È difficile parlare di web o connessioni a un uomo che scriveva sulla carta del mangime per le vacche e ha provato a battere a macchina “ma riuscivo solo con un dito”, un uomo che viaggia tantissimo ma solo con la mente. Gli chiedo perché non è mai uscito dall’Italia, risponde sincero: “Ho paura di rimanere deluso. Mi sono fatto un’idea della Russia dai libri. Mi hanno invitato a Mosca, in Bulgaria, più volte. Ma io preferisco restare qui: per me temo sarebbe come vedere la Grecia oggi dopo aver letto l’Eneide”.Osserva e traduce come le correnti migratorie mescolano e spostano le lingue. Scrive libri che vanno da Verso l’estremo mattino – Antologia epica dei popoli siberiani a Lo sciamano ci parla, uno dei suoi ultimi testi, convinto che “ci sia un ritorno allo sciamanismo, soprattutto fra i giovani”. Nel corso della sua lunga storia è stato invitato a parlare in diverse Università Italiane, ha discusso di lingue con Franco Battiato, è stato insignito di premi di vario genere appesi fra la polvere sul muro dietro alla sua poltrona.Crede che ormai tutte quelle lingue antiche “vadano a estinguersi per sempre”, e che il dialetto purtroppo “non ha più senso insegnarlo a scuola. Per parlare e capire il dialetto bisogna pensare in dialetto. E ormai i bambini non lo fanno più”.Riccardo è stanco e deve fare una pausa. L’amico Luigi Rozzi, con cui condivide la passione per le lingue, mostra un gazebo all’aperto nel cortile. Una volta lì intorno c’erano oche e capre, ora soltanto galline. Il tempo comincia a farsi sentire. Ma Bertani, come fece quando lasciò la scuola, continua a sentirsi “un ribelle, in tante cose” e non accetta filosofie e religioni: “Finché potrò continuerò a scrivere e tradurre. Poi ho capito che il tutto è niente e sono certo che non ci sia una fine: c’è l’infinito”. E lì che andrà, con un solo desiderio: “Non voglio essere ricordato, o che si pensi a me, come un fenomeno da baraccone, come il tizio che conosceva tante lingue. Vorrei essere ricordato e se serve letto o studiato per il mio lavoro, quello a cui ho dedicato tutta la mia vita”.