Obbligo vaccinale, in Sicilia qualcosa si muove: sollevata questione di legittimità costituzionale
Ha fatto molto scalpore l’ordinanza 38/2022 del 17 gennaio 2022 del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana sull’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari. I giudici di tale organo, che costituisce l’equivalente del Consiglio di Stato nazionale, ossia il secondo ed ultimo grado della giustizia amministrativa, sostengono che l’obbligo sia in contrasto con la Costituzione. La presidente Rosanna De Nictolis e l’estensore Maria Stella Boscarino, hanno dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale”.
In particolare, l’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto 44/2021 (convertito nella legge 76/2021), nella parte in cui prevede, da un lato l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, sarebbe in “contrasto con gli articoli 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione.
E per quali motivi? Perché “il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale e la mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid” non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini anti-Covid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”.
In buona sostanza, non ci sarebbero le condizioni di sicurezza per la salute di chi assume tali farmaci, necessarie nel caso in cui non ci si possa sottrarre ad esso. Sulla questione si deve pronunciare, ovviamente, la Corte costituzionale: quella che i giornalisti chiamano la “Consulta”, in quanto ha sede nel palazzo della Consulta a Roma; da notare che i giudici siciliani avevano già chiesto chiarimenti al Ministero della salute proprio sul profilo di conformità alla Costituzione di tali norme.
La Consulta dovrà esaminare anche l’articolo 1 della legge 217 del 2019, nella parte in cui prevede l’espressa esclusione del consenso informato per i trattamenti sanitari obbligatori e dell’articolo 4 del decreto legge 44 del 2021, nella parte in cui non esclude l’onere del consenso informato nel suddetto caso. Tali norme sarebbero in contrasto, secondo l’organo amministrativo siciliano, con gli articoli 3 e 21 della Costituzione.
Ma da dove ha avuto origine il tutto? Da un ricorso presentato da uno studente del terzo anno di infermieristica dell’Università di Palermo che si è rifiutato di sottoporsi al vaccino anti-Covid e che di conseguenza è stato sospeso. Il caso potrebbe riguardare anche altri operatori sanitari che non hanno adempiuto all’obbligo.
C’è poi un’altra iniziativa interessante che proviene dalla Sicilia, ed è la questione dell’incostituzionalità delle prefetture siciliane, sollevata dal Mias (Movimento per l’indipendenza e l’autonomia della Sicilia) che sarebbero contrarie all’articolo 15 dello Statuto della Regione Siciliana. Infatti, le prefetture sono organi dello Stato centrale, che dovrebbero essere sostituite da organi regionali: già il “parlamento” siciliano (Assemblea Regionale Siciliana), rispondendo ad una interrogazione, aveva rilevato la mancanza di norme di coordinamento tra Stato italiano e Regione Siciliana, in questi ultimi 75 anni (sic!), ammettendo implicitamente un problema di incostituzionalità tra la presenza delle prefetture statali e l’articolo 15 dello Statuto della Regione. Il Mias ha poi presentato un esposto, il 26 aprile 2022, alla Corte dei Conti in Sicilia per “paventato danno erariale” al quale sarebbe soggetta la Regione Siciliana per il mantenimento delle prefetture statali, il cui costo di aggirerebbe sui 50 milioni di euro, per le 9 prefetture siciliane (una per provincia).
Di tutta la questione ciò che più colpisce è la pachidermica lentezza dello Stato centrale italiano, che non trova il tempo per risolvere un problema di coordinamento tra norme statali e regionali in 75 anni, ma anche la pervicace intenzione di mantenere il controllo stato-centrico, che si evidenzia soprattutto nella persistente presenza delle province e degli organi provinciali, come le prefetture. L’Italia, fin dal 1948, si è costituita come Stato regionale, e di conseguenza le province avrebbero dovuto essere abolite e sostituite da organi regionali, per realizzare quell’autonomia prevista dalla nostra Carta costituzionale.