Muore di epatite contagiato dalla ex moglie, i figli proseguono la sua lunga battaglia legale contro il Ministero della Salute
LATINA – Un dramma che inizia con un segreto nascosto e finisce con la morte dopo con una lunga battaglia legale. Un uomo di Latina, ormai anziano, ha dovuto affrontare una lunga e dolorosa malattia causata dall’epatite C, scoperta solo dopo 36 anni dalla sua infezione. La causa del suo contagio risiede nel segreto che sua moglie, ormai deceduta, gli aveva tenuto nascosto: lei stessa era stata infettata dal virus dell’epatite C a causa di trasfusioni di sangue nel lontano 1982. Nonostante le cure, l’uomo è morto dopo aver lottato contro l’epatocarcinoma, una malattia che si è sviluppata a causa dell’epatite C, e la cui evoluzione era stata silente e asintomatica per molti anni.La scoperta tardiva e il risarcimentoL’uomo, prima di morire, aveva avviato una battaglia legale per chiedere un risarcimento per il danno subito. Il suo avvocato, ha ricostruito la vicenda attraverso informazioni incrociate e ha scoperto che la moglie del suo assistito, morta anch’essa per le complicazioni derivanti dall’epatite B e C, era stata infettata tramite trasfusioni di sangue avvenute nel 1982. Il contagio è poi stato trasmesso al marito attraverso rapporti sessuali durante l’ultimo anno della loro convivenza. Nonostante le statistiche indichino una bassa probabilità di trasmissione del virus dell’epatite C tramite rapporti sessuali, l’uomo rientrava nella fascia di rischio, considerato che non c’erano altre cause di contagio.Grazie alla sua determinazione e alla competenza legale del suo avvocato, l’uomo ha ottenuto un risarcimento da 600.000 euro, una cifra che avrebbe dovuto consentirgli di godersi gli ultimi anni di vita, ma che purtroppo non è riuscito a utilizzare a causa della sua morte.La battaglia continua per i figliCon la morte del padre, la palla passa ai figli, che hanno deciso di continuare la causa legale. Gli eredi hanno incaricato l’avvocato Mattarelli di avviare un procedimento per ottenere un risarcimento una tantum di circa 75.000 euro, previsto dalla legge n. 210/1992, per i familiari di chi è deceduto a causa del contagio derivante da trasfusioni di sangue infetto.Un nuovo capitolo legale contro il Ministero della SaluteIn aggiunta, i figli intendono avviare una nuova causa contro il Ministero della Salute per non aver effettuato controlli adeguati sulle donazioni di sangue nel 1982. Se quei controlli fossero stati effettuati, la madre non sarebbe stata infettata dal virus e, di conseguenza, non avrebbe trasmesso il contagio al marito, il quale non sarebbe morto prematuramente.La causa per “danno da uccisione del prossimo congiunto” si prospetta complessa, dato che il risarcimento richiede di dimostrare il difficile “rimbalzo” del contagio: dalla trasfusione del 1982 al contagio della moglie, e infine quello del marito.Il legittimo desiderio di giustiziaQuesta storia di ingiustizia e sofferenza si inserisce in un quadro di richieste legali che mirano a ottenere una compensazione per un danno che si estende oltre la salute dell’individuo, coinvolgendo anche le famiglie e il dovere di controllo delle istituzioni sanitarie. I figli dell’uomo, continuando la battaglia legale, sperano di ottenere giustizia per il danno subito e per il sacrificio di un’intera vita, che si sarebbe potuto evitare con maggiore attenzione e prevenzione.