Lavoro, in Italia sono oltre 7 milioni le donne ‘inattive’
Randstad Research, rappresentano il 43% nella fascia 30-69 anni. Il tasso di inattività è fermo dal 1990 ad oggi e riguarda soprattutto il Sud con il 58% delle donne inattive
In Italia le donne inattive tra i 30 e i 69 anni sono oltre 7 milioni. Un numero troppo alto, se si considera che rappresentano il 43% delle donne in questa fascia d’età, mentre nella media Ue le donne che non lavorano né cercano occupazione sono il 32%, in Germania il 24% e in Svezia 19%.
Troppe se rapportate al numero di poco più di 20 milioni di occupati.
E un numero notevole sia a livello sociale che economico: la maternità comporta conseguenze sulla scelta ma l’inattività si prolunga oltre il periodo in cui scelgono di concentrarsi sulla famiglia, per l’assenza di supporti. E’ quanto risulta in una ricerca di Randstad Research.
Si tratta nel complesso di “un fenomeno apparentemente immutabile, se si considera che a livello aggregato il tasso di attività è rimasto fermo dal 1990 ad oggi, che colpisce soprattutto il Sud e le isole, dove più di una donna su due (il 58%) è inattiva, mentre al Nord tre su dieci. Nella fascia di età 30-69 anni le donne inattive sono in stragrande maggioranza casalinghe a tempo pieno (4,5 milioni), per scelta o “obbligate”, come conseguenza di scoraggiamento per le barriere all’ingresso e al reingresso nel mercato del lavoro. E poi pensionate (2,5 milioni, tra pensioni di anzianità, sociali e di invalidità), con una prospettiva della terza età più incerta degli uomini, a causa di pensioni inferiori, raggiunte in età più giovane. Il tasso di inattività femminile è fortemente legato all’età: dal 70,6% delle donne attive tra i 35 e i 44 anni si scende al 47,4% tra i 55 e i 64 anni. Quali soluzioni? In un paese in cui la spesa pubblica in asili nido è solo lo 0,08% del Pil, tra le più basse d’Europa, l’investimento da 4,6 miliardi di euro previsto dal PNRR per aumentare di quasi 265 mila posti i servizi della prima infanzia va nella giusta direzione. Ma per completare lo sforzo, servirebbero congedi parentali meglio distribuiti e un sistema fiscale che non penalizzi il lavoro del secondo lavoratore della famiglia. L’uguaglianza di genere nella cura dei bambini può essere promossa attraverso il diritto individuale a un congedo non trasferibile, ben remunerato e di uguale durata per donne e uomini. Un altro ambito in cui investire è quello della formazione. Anche perché per le donne, il livello di istruzione sembra avere un’importanza particolarmente alta, più che per gli uomini, a discapito dell’esperienza e di altri fattori che possono contribuire all’occupabilità.