Lacrime, proclami, anatemi e promesse, ma la scia di sangue non si arresta: 79 vittime dall’inizio dell’anno.
Da inizio anno a oggi una donna uccisa ogni tre giorni
LA STAMPA. Gennaio. Giulia Donato. Oriana Brunelli. Teresa di Tondo. Alina Cristina Cozac.Febbraio. Yana Malayko. Melina Marino. Santa Castorina.Marzo, tre vittime. Aprile e maggio, due. Giugno, sono sette. Luglio e agosto, due e due. E ora si va avanti con il conto di settembre, con Rossella Nappini e oggi Marisa Leo. L’ex compagno l’ha uccisa e poi si è ucciso. Lascia orfana una bimba di tre anni.
L’elenco delle donne ammazzate a colpi di pistola, a coltellate, di botte, strangolate, è lungo. È difficile ricordare tutti i loro nomi, proprio come è impossibile dimenticare le loro storie. Prima di tutto perché si somigliano e il copione è sempre lo stesso. L’assassino è il partner oppure un ex. C’è una relazione già finita o a cui volevano mettere fine. Non c’è nessuna differenza tra Nord e Sud, tra italiani e stranieri, tra ricchi oppure poveri. Quello non conta, la violenza di genere è assolutamente democratica e sa infilarsi e proliferare, a volte per anni e industurbata, dappertutto. Ci sono i numeri e le statistiche dell’ultimo report del Viminale: da inizio anno a oggi sono 79, una donna uccisa ogni tre giorni.E poi ci sono le storie. Le strade che prende l’orrore sono più difficile da scordare, immagini violente che quando le leggi ti restano ficcate in testa e non vanno più via. Martina Scialdone che prova a nascondersi nel bagno di un locale, poi esce, Nessuno capisce, nessuna la aiuta. Lei chiama il fratello. Aveva paura, ha provato a salvarsi, ma lui le spara per strada. Il figlio sedicenne di Sara Ruschi, che vede prima ammazzare la nonna e poi aggredire la madre, così scappa di casa con la sorella di due anni in braccio, la mette al sicuro, chiama i soccorsi. Ma è troppo tarsi. Giulia Tramontano e il suo bambino, avvelenate per mesi prima di essere finiti a coltellate. Angela Gioiello, che aveva provato a scappare, rifugiarsi dalla madre, ma suo marito l’ha ammazzata davanti ai suoi tre figli.
A tenere traccia dei nomi e delle statistiche c’è il report del Viminale. Ma delle vite spezzate attorno a loro, degli orfani, non c’è nemmeno un conto. Rileggere le storie delle donne ammazzate riportate dalla piattaforma FemminicidioItalia, una per una, è un esercizio doloroso ma necessario. Che si fa, prima di aggiungere un altro nome e allungare l’elenco?La Rete D.i.Re, i centri antiviolenza, aspettano. Aspettano i soldi per restare aperti sempre, pure nei festivi, pure di notte e per accogliere le donne che per salvarsi si devono nascondere, devono trovare un modo per mantenere i figli. Hanno bisogno di tutto: protezione, coraggio, soldi, lavoro. Devono costruire una vita nuova. Aspettano il reddito di libertà.
Aspettiamo anche la discussione in commissione giustizia della Camera del disegno di legge sul femminicidio, arrivato dopo le nuove norme approvate dal governo lo scorso giugno. Un ddl che rafforza la tutela delle vittime della violenza di genere aumentando l’attenzione verso i cosiddetti “reati spia” e inasprendo le misure di protezione preventiva.Aspettiamo che l’educazione sessuale sia una materia di studio, come accade nel resto del mondo. Aspettiamo che le magistrature abbiano la formazione e le competenze sufficienti per applicare il Codice Rosso. Aspettiamo, aspettiamo e intanto continuiamo a compilare un elenco di morte che mese dopo mese diventa sempre più lungo.