Il “vizietto” delle multinazionali del farmaco: utili record e niente tasse
La denuncia arriva da una fonte autorevole. Brad Setser e Michael Weitland sono due economisti del centro studi specializzato in politica estera e affari internazionali Council of Foreign Relations. Insieme, hanno realizzato uno studio sull’operato della grandi multinazionali del farmaco negli Stati Uniti. E hanno scoperto che le case farmaceutiche realizzano enormi fatturati, grazie anche al fatto che i prezzi dei farmaci negli Usa sono i più alti del mondo. Sino a tre volte più cari che in qualsiasi altro Paese. Eppure, è la conclusione a cui sono arrivati i due esperti, questa enorme mole di denaro non si traduce in utili, almeno in apparenza. Questo significa, in parole povere, che i colossi farmaceutici non pagano tasse, o ne pagano pochissime, anche se intorno ai loro affari girano somme di denaro da capogiro. Ufficialmente, le aziende sono in perdita: Pfizer ha chiuso il bilancio negli States in rosso per 4,4 miliardi di dollari. AbbVie per 3,5 miliardi, la Merck addirittura per 15,6 miliardi, la Johnson e Johnson per 2 miliardi. Solo la Eli Lilly ha dichiarato un attivo, sia pure di soli 900 milioni.
Secondo le stesse multinazionali, il motivo di questo apparente disastro sta nel fatto che ciò che incassano viene destinato alla ricerca. Ma secondo i due economisti, la verità è che le case farmaceutiche, come altre aziende, sfruttano le norme e le lacune dei regimi fiscaie per dichiarare gli utili in Paesi in cui la tassazione è molto inferiore o addirittura nulla. Il risultato è che le 7 principali multinazionali del farmaco, nel 2023, non solo non hanno versato imposte al fisco, ma sono risultate in credito per 250 milioni. Unica eccezione, la Pfizer: siccome la produzione del vaccino anti Covid era finanziata anche con soldi pubblici erogati dalla Casa Bianca, l’azienda non è riuscita a portare fuori dagli Stati Uniti gli enormi incassi realizzati con quel prodotto. Novo Nordisk, per fare un esempio, balzata alle luci della ribalta perché produttrice del farmaco Ozempic, che da medicina per diabetici è divenuta un diffusissimo farmaco per dimagrire, paga le tasse in Danimarca pur registrando utili stellari negli Usa. Ma il problema non riguarda solo le multinazionali del farmaco. Vale per tutti i settori
La Apple, per esempio, paga gran parte delle sue tasse in Irlanda, Paese europeo che viene ormai considerato un paradiso fiscale a tutti gli effetti. Il caso delle multinazionali che producono farmaci resta comunque il più clamoroso, e dovrà essere risolto, spiega Setser. Ma il problema, sottolinea ancora l’economista, sono i meccanismi della globalizzazione, che hanno prodotto storture e ingiustizie sociali ma che si sono rivelati particolarmente resistenti.
Non sono bastate politiche protezioniste, dazi e divieti, minacce di conflitto: le merci, i servizi e i capitali continuano a “girare” sulle rotte globali. Con conseguenze nefaste per la redistribuzione della ricchezza e per i conti degli Stati. La Cina, fanno notare i due economisti, inonda il mondo di prodotti senza incentivare la domanda interna. L’imposta minima globale del 15% oggi in discussione un po’ ovunque, per il momento non è riuscita a frenare l’elusione fiscale dei colossi – e non solo quelli farmaceutici. Elusione che, in sintesi, è un’evasione resa legale da regole, leggi e cavilli. “Chi è preoccupato dal rallentamento della globalizzazione e vorrebbe salvarla dalle guerre commerciali e dai nazionalismi”, ha concluso Setser, “dovrebbe cercare di correggere certe distorsioni“. Peccato che questa frase la ascoltiamo da molto tempo: inutilmente. Forse il punto è che il “mostro” non dev’essere salvato. Pena restare bloccati in eterno in questa situazione. Finché il sistema non reggerà più.