Il Turkmenistan vuole chiudere e spegnere la Porta dell’Inferno
Un cratere infuocato che arde nel deserto del Karakum, in Turkmenistan. La Porta dell’Inferno esiste da quasi mezzo secolo ma è negli ultimi dieci anni che ha ottenuto la sua massima popolarità, diventando l’attrazione turistica più visitata della nazione dell’Asia centrale. Ma non sarà così ancora per molto, e il Covid questa volta non c’entra.
Secondo quanto riferito dal quotidiano statale Neytralny Turkmenistan, il presidente Gurbanguly Berdymukhamedov ha infatti ordinato la chiusura al pubblico del cratere di Darvaza e chiesto al suo gabinetto di trovare una soluzione per spegnere definitivamente l’incendio perpetuo che alimenta la suggestiva Porta dell’Inferno.
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Il suo bagliore può essere visto a chilometri di distanza e da vicino offre uno spettacolo inquietante, da perfetta foto social. Ma sul territorio non gode della stessa idilliaca fama, ed è facile capire il perché. Questo cratere si è formato all’inizio degli Anni 70, quando il terreno è crollato durante una trivellazione sovietica. Lì sotto si trova infatti una enorme riserva di gas naturale e per prevenirne la diffusione nell’aria, così come possibili esplosioni, ai tempi si era deciso di dargli fuoco, innescando un incendio sotterraneo che non si placa mai.
La Porta dell’Inferno in Turkmenistan
Pur trovandosi in mezzo al deserto, la combustione può avere effetti negativi sulla salute delle persone che vivono non distante da lì, nel villaggio di Darvaza, oltre a rappresentare uno spreco di risorse – il gas è una delle principali fonti di reddito del Paese, non di certo il turismo – e danni ambientali. Per questi motivi, «il vice primo ministro è stato incaricato di radunare scienziati e, se necessario, di attirare consulenti stranieri, per trovare una soluzione per estinguere l’incendio». Staremo a vedere come.