Holodomor, la strage degli innocenti uccisi dalla fame in Ucraina
Il 23 novembre si ricorda l’anniversario dell’Holodomor, la carestia provocata dal regime sovietico che colpì l’Ucraina tra il 1932 e il 1933 causando milioni di morti.
Fu una tragedia così grande che gli ucraini inventarono una nuova parola per descriverla: Holodomor o “sterminio per fame”. Si riferisce alla morte, provocata negli Anni ’30 dalle politiche di Stalin, di milioni di ucraini. Un’ecatombe che ancora oggi è una delle ragioni del risentimento di Kiev verso Mosca. La tragedia ebbe inizio quando Stalin, tra l’autunno del 1932 e la primavera del 1933, decise la collettivizzazione agraria, costringendo anche i kulaki, i contadini agiati (coltivatori diretti o piccoli proprietari terrieri), ad aderirvi contro la loro volontà.
affamati. La collettivizzazione forzata delle terre innescò una gigantesca carestia che colpì varie parti dell’Unione Sovietica, dal Caucaso alla Siberia, dal Kazakistan all’area del fiume Volga. Gli ucraini tuttavia furono quelli che ne soffrirono di più le conseguenze, poiché lo sterminio dei contadini s’intrecciò con la persecuzione dell’intellighenzia e con la lotta al patriottismo di un intero popolo. Per l’Urss, la fertile Ucraina, soprannominata non a caso “il granaio d’Europa”, era un Paese da sfruttare e per questo Stalin decise di “spezzare la schiena” ai kulaki, forti oppositori della collettivizzazione.
E così, alla fine degli Anni ’20, come gli altri coltivatori dell’Unione Sovietica, anche i contadini ucraini furono costretti ad aderire ai kolchoz, le fattorie collettive di Stato, mentre le loro terre venivano confiscate. «La prima mortalità di massa fu causata direttamente dal fatto che le autorità sovietiche, indifferenti alle naturali variazioni di produzione, mantennero percentuali altissime di requisizioni (circa il 20%)», scrive lo storico francese Bernard Bruneteau nel suo libro Il secolo dei genocidi (Il Mulino).
Bucce di patata. «In Ucraina fu collettivizzato il 70% delle fattorie contro il 59% della Russia», scrive ancora Bruneteau. In molti si opposero alle requisizioni, si rifiutarono di cedere i raccolti, nascosero le derrate alimentari e uccisero il bestiame piuttosto che darlo ai kolchoz. Questo atteggiamento degli ucraini fu considerato dal Politburo sovietico un gravissimo atto di ribellione e, pur conoscendo la preoccupante carenza di cibo per gli abitanti delle campagne, agenti e attivisti locali del partito furono mandati a fare requisizioni e confiscare derrate nelle case e nelle fattorie.
Inoltre, per evitare che i contadini si rifugiassero nelle città, queste vennero isolate. «La necessità di sfamarsi era considerata un crimine contro lo Stato», spiega Bruneteau. La situazione era difficile in tutto l’Urss, la popolazione era stremata e affamata, tuttavia Stalin rifiutò qualsiasi aiuto dall’esterno e accusò i contadini che stavano letteralmente morendo di fame di essere i colpevoli della loro stessa situazione. E come se non bastasse promulgò leggi draconiane che non fecero altro che aumentare la tensione, il terrore e il numero di vittime: chiunque fosse stato trovato a nascondere qualcosa da mangiare, anche solo delle bucce di patata, sarebbe stato fucilato.
strage di bambini. Fu un massacro: in tutta l’Urss circa cinque milioni di persone – deliberatamente private dei mezzi di sostentamento – morirono di fame. Di questi, secondo le stime, quattro milioni erano ucraini. «Le epidemie si diffusero e si registrarono casi di cannibalismo, tutti fatti di cui il governo tenne un bilancio preciso. Quasi la metà delle vittime era costituita da bambini», racconta ancora lo storico. Cifre che naturalmente rimasero ben chiuse negli archivi di Mosca.
La foto diventata simbolo della tragedia del genocidio in Ucraina: una bambina affamata di Kharkov. © Wikipedia
Mosca soffocò qualsiasi forma di dissenso e non riconobbe mai questo spaventoso crimine: manipolando i dati demografici riuscì a nascondere l’improvvisa scomparsa di milioni di esseri umani. L’insabbiamento delle responsabilità fu totale non solo all’epoca dei fatti ma anche in seguito. Dopo la morte di Stalin (1953), il suo successore Nikita Krusciov avviò alla “destalinizzazione” e denunciò i crimini del predecessore, soprattutto le epurazioni all’interno del partito, le “purghe”, avvenute con processi farsa tra il 1936 e il 1938.
Le grandi purghe. Tuttavia non fece mai parola del dramma ucraino – che fu il più grande sterminio della storia europea del XX secolo dopo l’Olocausto degli ebrei – poiché nonostante le aperture di Krusciov negli Anni ’50 il partito andava ancora protetto per il bene dello Stato sovietico. Proprio in quegli anni però una voce si alzò: fu quella dello scrittore russo di origini ucraine Vasilij Grossman. Nel suo famoso romanzo Tutto scorre, scritto tra il 1955 e il 1963, uno dei personaggi, Anna Sergeevna, racconta i terribili anni della collettivizzazione, della carestia e dello sterminio dei kulaki in Ucraina. Il libro, come è facile immaginare, ebbe una vicenda editoriale complessa. Negli Anni ’60 agenti del Kgb sequestrarono il manoscritto, ma l’autore lo riscrisse. La copia, ritrovata dopo la sua morte (1964), fu poi pubblicata nel 1970, a Francoforte. Mentre in Russia il romanzo apparve solo nel 1989, all’epoca di Gorbaciov in piena glasnost, la “politica della trasparenza”.
Qualche anno prima, nel 1986, in Inghilterra e negli Stati Uniti, era uscito il saggio Harvest of Sorrow dello storico inglese Robert Conquest, nel quale per la prima volta l’Holodomor veniva documentato e descritto nei particolari. Secondo Conquest la carestia non fu provocata dalla collettivizzazione delle terre ma dalla confisca del cibo, dalle liste di proscrizione imposte a fattorie e villaggi e dai blocchi stradali che impedivano gli spostamenti della popolazione. Lo sterminio di milioni di kulaki, per lo storico inglese, fu insomma un atto deliberato di genocidio.
URSS, 1933: le aree in cui la carestia fu più disastrosa sono contrassegnate in nero. © Wikipedia
negli archivi sovietici. La verità su quanto accadde in quegli anni, tuttavia, iniziò a diffondersi su vasta scala soltanto dopo la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina (1991) e l’apertura degli archivi sovietici. Nel 2003 le Nazioni Unite hanno stabilito che l’Holodomor è stato “il risultato di politiche e azioni crudeli che provocarono la morte di milioni di persone”. Cinque anni dopo, nel 2008, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale lo sterminio ucraino viene classificato come crimine contro l’umanità. Tuttavia non è mai stato riconosciuto come genocidio, per non irritare la Russia.
Dal punto di vista storiografico il dibattito è tuttora aperto e gli studiosi si dividono ancora oggi sulle cause scatenanti di quella tremenda carestia: fu la conseguenza dei piani quinquennali di Stalin che ridussero alla fame i contadini? O fu creata ad arte da Mosca per decapitare il nazionalismo ucraino? E poi è corretto definirla “un atto di genocidio”, con le inevitabili implicazioni politiche che ne deriverebbero?
Il dibattito degli storici. Il primo a ritenerlo tale, molti anni prima di Conquest, era stato il giurista polacco Raphael Lemkin, che nel 1944 coniò il termine “genocidio” e che in seguito si è battuto per inserirlo nel diritto internazionale. Ne è convinto anche lo storico Ettore Cinnella, autore del recente saggio Ucraina: il genocidio dimenticato 1932-1933 (Della Porta editori), che non ha dubbi: «Fu sicuramente un genocidio sociale, ovvero un tentativo di sterminare buona parte del mondo contadino sovietico, quindi non solo gli ucraini ma anche i russi.
Tuttavia Stalin cercò anche di distruggere il carattere nazionale del popolo ucraino attraverso le persecuzioni antireligiose, la sconsacrazione e la distruzione delle chiese. Sia il mondo contadino ucraino sia l’intellighenzia del Paese furono colpiti per cercare di cancellare la loro memoria storica, a cominciare dai maestri di scuola e dalla Chiesa, che era allora indipendente da Mosca. Mettendo insieme tutti questi tasselli, considerando che ci fu la volontà deliberata di ridimensionare e reprimere quel popolo, ritengo che sia lecito parlare di genocidio».
Olocausto ucraino. Esiste tuttavia un problema di carattere giuridico che impedisce l’inclusione della tragedia ucraina dell’Holodomor nella lista dei genocidi ufficialmente riconosciuti dalla comunità internazionale. È quanto spiega la studiosa statunitense Anne Applebaum, già vincitrice del premio Pulitzer e autrice del recente saggio Red Famine: Stalin’s War on Ukraine: «Ciò che accadde in Ucraina tra il 1932 e il 1933 coincide perfettamente con la definizione di genocidio di Raphael Lemkin, ma non può rientrare nella formulazione redatta nel 1948 con la Convenzione sul genocidio. L’Unione Sovietica contribuì alla stesura di quel documento in modo decisivo proprio al fine di escludere l’Olocausto ucraino». Finché il diritto internazionale non sarà aggiornato, l’Holodomor continuerà a essere formalmente escluso dall’elenco dei genocidi.
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Tratto da Raccolto amaro di Riccardo Michelucci, pubblicato su Focus Storia 139, disponibile solo in versione digitale. Leggi anche il nuovo Focus Storia in edicola!