Hiv, nuova variante e impatto su Covid
Se ormai abbiamo imparato a conoscere le nuova varianti di Covid-19, anche l’Hiv muta. E questa alterazione potrebbe avare un impatto anche sulla pandemia. A parlarne con Fortune Italia è Antonio Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia e professore di Patologia all’università di Siena (www.drantoniogiordano.com; www.shro.org).
“I virus, specialmente quelli a Rna – che utilizzano la molecola dell’Rna come materiale genetico – tendono ad accumulare ‘mutazioni’, come abbiamo ormai imparato studiando i comportamenti di Sars-Cov-2. Anche il virus dell’Hiv muta, come si legge in uno studio di un team di ricercatori di Oxford, pubblicato sulla rivista Science. Esistono classificazioni del virus Hiv, di tipo 1 e di tipo 2, che a loro volta comprendono diversi gruppi e sottotipi. La ‘pandemia da Hiv’ è dovuta al gruppo M , che appartiene al tipo Hiv-1″.
I diversi gruppi sono il prodotto di ricombinazioni dei diversi sottotipi , con diversa distribuzione geografica. “I ricercatori di Oxford – spiega Giordano – hanno individuato una particolare variante del sottotipo B, particolarmente virulenta. La virulenza la si determina in termini di carica virale ed effetti sulla popolazione. Analizzando un campione di persone che hanno aderito al Progetto Beehive, monitorandone il genoma virale tramite prelievi, all’interno di questo gruppo i ricercatori hanno identificato 17 persone che presentavano questa nuova variante, soprannominata VB, virulent subtype B, dal suo carattere di notevole virulenza”.
“Ebbene, la carica virale nel sangue, relativamente ai campioni acquisiti, era di 3,5-5,5 volte maggiore rispetto alle rilevazioni osservate in altre persone contagiati da altri tipi di virus del sottotipo B. Questo significa che si riscontra un ‘avanzamento’ dell’aggressività del virus e del rischio di contrarre la malattia da virus Hiv. L’Hiv – continua Giordano – provoca un indebolimento del sistema immunitario inducendo immunodepressione, aumentando quindi l’esposizione del soggetto contagiato a tumori e infezioni da batteri e virus“.
L’impatto che questa scoperta ha su un quadro pandemico già compromesso dal Coronavirus “è notevole – sottolinea l’esperto – anche se la buona notizia proveniente da Oxford rassicura nei termini di una buona protezione data dai farmaci esistenti. Il sistema immunitario è la difesa del nostro organismo, e una risposta immunitaria si articola in passaggi precisi che vanno dal riconoscimento dell’agente potenzialmente pericoloso, nella sua identificazione, nell’attivazione del sistema immunitario, mobilitandolo, accerchiando e attaccando l’antigene, permettendo che l’aggressione venga domata. Laddove l’organismo venga attaccato dal virus Hiv, l’indebolimento diventa immunodepressione e reale rischio di aggravamento di ogni tipo di patologia associata, proprio per l’assenza o per la flebile risposta immunitaria necessaria a sconfiggere l’insulto esterno”.
“Sono al vaglio del mondo scientifico in questo momento – aggiunge Giordano – ipotesi di comparsa di nuove varianti di Sars-Cov2 derivanti da contagio da Covid in pazienti sieropositivi, i cui risvolti sono imprevedibili. La compromissione del sistema immunitario, quando è dovuta a virus Hiv, segue una trasmissione per via ematica o sessuale. Se curata caso per caso, oggi, con successo la malattia o la sola sieropositività viene tenuta sotto controllo”.
Ma cosa potrebbe accadere? In questo quadro è importante evitare la compromissione del sistema immunitario, sottolinea l’esperto, puntando il dito contro l’iper-stimolazione. “Il mondo scientifico si è espresso con rigore contro una stimolazione indotta e frequente, fortemente dannosa, anche riguardo alla delicata questione della somministrazione di una quarta dose di vaccino anti-Covid, e sulla opportunità di orientarsi verso scelte opportune in termini sanitari ed etici”, conclude.