Covid 19. «L’obbligo vaccinale ha cancellato, di fatto, il secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione»
L’inedita imposizione della vaccinazione per quasi tutte le attività della vita sociale ha trasformato la libertà individuale rispetto alle cure in un dovere per il cittadino, distorcendo il dettato costituzionale. Il secondo comma dell’art. 32 ribalta il consueto rapporto tra la libertà e l’autorità, fra il diritto e la possibilità del sovrano di limitarlo. Un’originalità assoluta del costituzionalismo novecentesco inserita su impulso di Aldo Moro. Solo se dal trattamento deriva un doppio beneficio, per la salute individuale e per quella collettiva, il trattamento obbligatorio è legittimo. Se, invece, l’attuale vaccino non incide sulla trasmissione del contagio manca il presupposto stesso del beneficio per la collettività e tutti gli obblighi e gli oneri collegati alla vaccinazione non trovano giustificazione in questa interminabile emergenza
L’analisi di CARLO IANNELLO, giurista – – Italiaiberaonline
IL GOVERNO HA introdotto l’obbligo vaccinale per categorie di lavoratori e una inedita imposizione concernente la vaccinazione per quasi tutte le attività della vita sociale, a partire dai 12 anni di età. Si è stravolta così la materia delle vaccinazioni obbligatorie che normalmente concerne una sola attività, lasciando impregiudicate tutte le altre libertà per chi rifiuta il trattamento (ad esempio, ai bambini non vaccinati — cfr. l. n. 119/2017 — è impedita solo l’iscrizione alla scuola d’infanzia, non a quella dell’obbligo, né si prevedono limitazioni alla vita sociale; così, il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale per determinati lavori impedisce solo lo svolgimento di quel lavoro). Il dibattito in materia è stato carente, dando semplicisticamente per scontata la legittimità della normativa perché la Costituzione ammette trattamenti obbligatori. In realtà, la costituzionalità dei recenti provvedimenti è difficilmente sostenibile, alla luce dell’art. 32 Cost. e della giurisprudenza costituzionale.
È bene, quindi, chiarire il significato di questo articolo, distorto da questa interminabile emergenza. L’art. 32 rappresenta, probabilmente, la più grande innovazione della Costituzione. Di certo è un’originalità assoluta del costituzionalismo novecentesco. La salute è, infatti, declinata in tre accezioni: libertà individuale, interesse della collettività e diritto sociale. La qualificazione della salute in termini di libertà, l’unica definita come «fondamentale», è la grande novità. Che la salute dovesse essere una nuova libertà lo aveva compreso Aldo Moro secondo il quale la tutela della salute poneva «un problema di libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione».
Ma la innovazione più importante, che ribalta il consueto rapporto tra la libertà e l’autorità, fra il diritto e la possibilità del sovrano di limitarlo, è contenuta nel II comma, scritto sempre su impulso dello statista salentino. Tutte le disposizioni che riconoscono diritti affermano la libertà e, poi, attribuiscono al sovrano democratico (la legge) il potere di limitarla (si veda, ad esempio, art. 13, art. 16, ecc., secondo i quali le libertà garantite possono essere limitate dalla legge). L’art. 32 ha, sul punto, un’impostazione differente. Nel secondo comma, infatti, in primo luogo, il limite alla libertà si desume a contrario: «nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge». La Costituzione, mentre riconosce, implicitamente, il potere di limitare la libertà, la riafferma. Ma la innovazione rivoluzionaria si trova nell’ultima parte: «In nessun caso la legge può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». È sempre un limite, ma con una funzione opposta a quella dei limiti ai diritti cui si è fatto cenno. Tanto è vero che è definito «contro-limite», cioè un limite al potere, rivolto al sovrano democratico. Nemmeno alla legge è consentito violare il rispetto della persona umana. Un limite che rafforza la libertà; tanto è vero che Stefano Rodotà ha parlato di «nuovo habeas corpus», chiarendo che la Costituzione è andata persino «oltre» il sistema di garanzie apprestato per la libertà personale: «nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato».
Il motivo di questa singolarità della Costituzione repubblicana nel panorama del costituzionalismo novecentesco si spiega non solamente con la volontà di cambiare pagina rispetto al fascismo, in cui esisteva solo il dovere del cittadino di salvaguardare la propria salute per realizzare finalità ultra-individuali (nella teoria fascista dello Stato non esistevano diritti ma solo doveri verso lo Stato), ma soprattutto con una contingenza storica. Durante i lavori della costituente, le cronache davano conto degli esiti del processo di Norimberga, in cui emersero anche i crimini dei medici nazisti. La profonda emozione di queste atrocità portò i Costituenti a scrivere un articolo dedicato alla libertà fondamentale connessa alla salute che colloca il rapporto tra autorità e libertà nella direzione dell’emancipazione individuale (esemplificata da Giorgio La Pira: «Lo stato è per l’uomo, non l’uomo per lo stato»).
La giurisprudenza costituzionale ha spiegato la portata di questo contro-limite. Una legge impositiva di un trattamento sanitario non può strumentalizzare la persona umana per finalità collettive. Solo se dal trattamento deriva un doppio beneficio, per la salute individuale e per quella collettiva, il trattamento è legittimo. «Nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri» ha ammonito la Consulta. Il giudice delle leggi ha anche chiarito che l’obbligo deve servire «non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale» (Core cost. n. 118 del 1996). Insomma, la libertà individuale rispetto alle cure non si annulla e mai si trasforma in un dovere. Essa può essere limitata solo nella misura in cui sussista un interesse dalla collettività che è bilanciato dallo stesso art. 32, comma II, con la tutela dell’individuo.
Alla luce di queste riflessioni (cfr. anche C. Iannello, 2022, in dirittifondamentali.it), si possono formulare alcune conclusioni. In presenza di un vaccino che, come riconosciuto dalla più autorevoli riviste scientifiche — cfr., fra gli altri, Carlos Franco-Paredes in “The Lancet”, 22 gennaio 2022, 16, secondo cui «le evidenze attuali suggeriscono che le presenti politiche di vaccinazione obbligatoria dovrebbero essere riconsiderate e che l’immunizzazione non dovrebbe sostituire le misure di mitigazione come indossare la mascherina, il distanziamento fisico, il tracciamento, anche all’interno di una popolazione con un alto numero di vaccinati» —, non incide nella trasmissione del contagio (così il Ministro Giovannini il 17 marzo 2021 nella trasmissione “Porta a Porta”, minuto 42), tutti gli obblighi e gli oneri collegati alla vaccinazione non trovano giustificazione perché ne manca il presupposto. Non sussiste, cioè, il beneficio della collettività, strutturalmente connesso con l’impedimento del contagio (così la Consulta: «Tutelare la salute dei terzi nei settori nei quali esista un serio rischio di contagio» Corte Cost. 218 del 1994).
Non serve, pertanto, esaminare le questioni relative all’analisi rischio beneficio, che dovrebbe riguardare la relazione tra medico e paziente (distinguendo bambini, giovani, adulti, anziani, anche in relazione al loro specifico stato di salute), o alla natura condizionale dell’autorizzazione di questi farmaci. Esse riguardano l’altro presupposto, il beneficio individuale, logicamente successivo. In assenza di un beneficio per la collettività non si giustifica la compressione dell’autodeterminazione individuale rispetto alle cure. La tutela dalle forme gravi della malattia inerisce al piano delle cure e concerne, peraltro, la popolazione a rischio di forme gravi.
In pratica, è come se il secondo comma dell’art. 32 fosse stato cancellato. Era accaduto sul piano simbolico quando le conferenze stampa della Protezione civile avevano come sfondo un’immagine dell’articolo 32 con il solo primo comma. Adesso, il secondo comma è stato cancellato dal Governo e da un supino Parlamento non più in grado di controllare l’esecutivo in quella che sembra una vera e propria deriva autoritaria, che ha portato un arretramento delle libertà individuali di cui non si ha storicamente traccia: anche nell’ambito del giuspositivismo ottocentesco, in cui le libertà erano considerate delle ‘concessioni’ dello Stato, esse erano riconosciute a tutti i ‘sudditi’.