Circa la Dolce Vita…
a cura di Diletta Maria Cecilia Loragno – L’Idea Magazine
La situazione italiana sta suscitando interrogativi e perplessità nell’opinione pubblica, in particolar modo in una folta platea di giuristi e agli occhi di chi la osserva lontano dai confini nazionali. Pare infatti che la situazione italiana, con l’adozione del green pass e successivamente della versione super, abbia suscitato molta curiosità in Paesi che o non lo hanno mai adottato o lo stanno eliminando o lo hanno già eliminato.
In Italia questi strumenti, ormai da mesi, stanno controllando e condizionando l’intera vita civile, sociale, culturale, economica, lavorativa fino alla mobilità dei cittadini italiani, con evidenti ripercussioni anche di tipo psicologico e morale.
Il 21 gennaio 2022 sul sito del Ministero del Turismo italiano si legge:
- “Il ministro del Turismo Massimo Garavaglia sottolinea come il Comitato consultivo dell’Organizzazione mondiale della Sanità abbia diffuso il 19 gennaio scorso un documento che invita gli Stati membri ad allentare le restrizioni sui viaggi, introdotte a causa della pandemia.
In particolare, il documento (pubblicato sul sito dell’Organizzazione mondiale della Sanità) invita gli stati membri a: “Eliminare o alleggerire i divieti di traffico internazionale poiché non forniscono un valore aggiunto e continuano a contribuire allo stress economico e sociale vissuto dagli Stati parte. Il fallimento delle restrizioni di viaggio introdotte dopo il rilevamento e la segnalazione della variante Omicron per limitare la diffusione internazionale di Omicron dimostra l’inefficacia di tali misure nel tempo”. - “Non richiedere la prova della vaccinazione contro il COVID-19 per i viaggi internazionali come unico percorso o condizione che permetta i viaggi internazionali, dato il limitato accesso globale e l’iniqua distribuzione dei vaccini COVID-19. Gli Stati parte dovrebbero prendere in considerazione un approccio basato sul rischio per facilitare i viaggi internazionali eliminando o modificando le misure, come i test e/o i requisiti di quarantena, quando appropriato, in conformità con la guida dell’OMS””.
In data 3 febbraio 2022 sul sito della Confcommercio si legge:
“Gli stranieri vaccinati e guariti da meno di sei mesi potrà alloggiare con il green pass base in hotel o mangiare al ristorante o accedere a tutte quelle attività per le quali è previsto il pass rafforzato, che all’estero non esiste Chi invece ha un certificato di guarigione o vaccinale da più di sei mesi – compresi quelli ottenuti con Sputnik o con altri vaccini non autorizzati dall’Italia – dovrà mostrare l’esito negativo di un tampone effettuato 48 ore prima se antigenico o 72 se molecolare. Il tampone non è obbligatorio se si è guariti dopo aver completato il ciclo di vaccinazione”.
In data 4 febbraio 2022 sul sito Cybersecurity360, firmato dall’Avv Enrico Pelino dello studio Grieco Pelino, si trova il seguente titolo:
Il Green Pass quale strumento di coercizione: è la lettura complessiva che si può fare del dispositivo diventato molto prossimo a un certificato esclusivamente vaccinale o di guarigione, smarrendo completamente le ragioni della sua introduzione nell’UE quale soluzione di interoperabilità e mobilità. I punti privacy più critici
La dettagliata relazione dell’avvocato segue nel modo seguente:
“Il certificato verde, diventato oggi molto prossimo a un certificato esclusivamente vaccinale o di guarigione, ha completamente smarrito le ragioni della sua introduzione nell’Unione quale soluzione di interoperabilità e di mobilità. È convinzione dell’autore che la declinazione nazionale dello strumento si ponga in radicale contrasto con un intero complesso di regole, a partire da quelle di vertice, e che ciò abbia serie implicazioni giuridiche e sociali. La vaccinazione è un trattamento sanitario e ha la sua norma apicale nell’art. 32 Cost., che riconosce e disciplina il diritto alla salute. Il certificato verde è invece un trattamento di dati personali, non un trattamento sanitario, e non trova norma apicale nell’art. 32. Siano perdonate queste ovvietà, ma abbiamo tutti constatato osmosi dei concetti. Il pass verde è ultroneo? Senza alcun dubbio. Per imporre un trattamento sanitario non ce n’è alcun bisogno, c’è solo bisogno di una legge, e di null’altro, se ne ricorrono le condizioni. Se non ricorrono, non se ne fa niente. La legge è necessaria perché la regola scolpita nell’art. 32 è appunto che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. È appena il caso di ricordare che tutte le vaccinazioni obbligatorie della storia repubblicana sono state sempre disposte per legge. Rispetto al SARS-CoV-2 oggi tuttavia non esiste obbligo vaccinale esteso all’intera popolazione, un’anomalia rispetto al passato. Proprio qui si inserisce il pass con il suo schema di premi/penalizzazioni, a surrogare un t.s.o. che non ha trovato coraggio politico o base medica o sufficiente sicurezza sanitaria. Deve però essere chiaro che utilizzare – in luogo della disposizione di legge richiesta dall’art. 32 – un trattamento di dati sensibili, servirsene cioè in modo puramente strumentale, costruendovi attorno un immenso apparato di controllo diffuso, non è semplicemente una via traversa per giungere al risultato, ma è un aggiramento costituzionale. Il punto è serio, perché la riserva di legge è clausola di garanzia. Considerarla tamquam non esset, come se non esistesse, vuol dire rimuovere la garanzia. La Costituzione si regge su colonne portanti: è molto solida finché non si toccano le colonne. L’aggiramento costituzionale integra, senza bisogno d’altro, violazione del principio di liceità del trattamento, ex art. 5.1.a) GDPR. È necessario ripeterlo: il Green Pass non è altro che un insieme di dati personali espressi prevalentemente in formato QR. E ugualmente è un trattamento di dati personali.Le condizioni di liceità sono perciò dettate dal GDPR, dalla normativa nazionale collegata e da quella, prevalentemente eurounitaria, soprastante. L’art. 5.1.a) è una di queste condizioni. Un’altra è il principio di limitazione della finalità, ugualmente violato per mancanza di trasparenza (ved. sotto). Altre norme sono gli artt. 6, 9, 25, 35, 36, incise in vario modo, o per carenza del requisito di proporzionalità, di necessità o appunto per indeterminatezza della finalità o per impostazioni organizzative o informatiche non conformi o per assenza, insufficienza e comunque mancata revisione dell’enorme impatto del certificato sui diritti fondamentali tutto il sistema di emissione, revoca (quando ha funzionato), verifica. (…) Se si lascia libertà di scelta, l’esercizio di quella libertà non deve poi essere punito. Deve essere pieno e rispettato. Quanto al bilanciamento di diritti, non si può contemporaneamente sostenere che il farmaco è sicuro ma l’esigenza di somministrarlo non abbastanza seria da integrare un t.s.o. e insieme sostenere che è talmente seria da prevalere sull’intero albero dei diritti fondamentali. O l’una o l’altra. Se il farmaco non è stato imposto se ne deduce allora o che non è sicuro o che l’esigenza di somministrarlo non è seria. Altrimenti sarebbe stato imposto quale t.s.o. Confortano l’effettivo impiego strumentale del pass, del resto non dissimulato a livello istituzionale, una serie di aperte dichiarazioni, coerenti e documentabili, provenienti da varie figure d’apice. (..) Si è costretti a subire l’inferenza e perfino l’altrui giudizio su convinzioni profonde. Si è tenuti a dichiarare scelte sanitarie maturate nell’intimo, paure, malattie. Si avverte la pressione di rassicurare terzi sul proprio percorso sanitario e sulla propria conformità sociale o il timore che trapeli la non conformità, di essere associati a gruppi invisi e a uno stigma. Sono dinamiche avvilenti per la dignità umana, tanto per quella dei recalcitranti quanto per quella degli aderenti.tamento di diritti fondamentali, come quelli al lavoro e alla retribuzione. (…) Scostandoci invece dal binario rigoroso segnato dai Costituenti all’art. 32, siamo entrati in una palude. Una volta dentro all’esperimento, se ne sono testate le possibilità. Si è notato – perché tutti, favorevoli o contrari, lo abbiamo notato – che è possibile convogliare flussi di persone e muovere masse, che la durata di validità del certificato può essere modulata secondo le convenienze (6 mesi, 9, 12, 9, 6, poi verosimilmente illimitata per alcuni, in via premiale) e senza alcun rapporto con evidenze scientifiche, che le conseguenze del possesso e del mancato possesso sono ugualmente modulabili. Il pass è strumento di educazione collettiva, ma nel senso dell’addestramento, della carota e del bastone, non in quello della maturazione e della crescita. (….) Basterebbe la nuda constatazione che è in atto, più o meno intenzionalmente, un meccanismo di ricompensa e punizione, dunque una pratica degradante applicata su esseri umani, qualcosa che l’osservatore distaccato non può che definire un sistema pavloviano di ingegneria sociale, per prendere consapevolezza della completa illiceità dello strumento green pass. (…) In effetti non è mai esistito, a far data dall’atto fondativo di una normazione organica sui dati personali, un dispositivo di controllo più anomalo, divisivo, vessatorio. Che il certificato nella sua declinazione nazionale fosse illecito, il Garante per la protezione dei dati personali lo aveva chiarito nelle primissime fasi. Vediamo che cosa scriveva l’Autorità con provvedimento del 23 aprile 2021 [9578184] a proposito del DL 52/2021. (…) Il successivo 9 giugno con provvedimento doc. web n. 9668064 erano ripetuti il richiamo alla Corte e i medesimi rilievi (…) Qui stiamo toccando libertà della persona e diritti fondamentali, dunque occorre un “perché?” nitido e convincente. (…) Esattamente, c’è una ragione precisa per la quale stiamo violando una norma costituzionale? In passato questo non è mai accaduto, in passato abbiamo previsto leggi vaccinali, in modo limpido, non strumenti di coercizione, non certificati di concessione di diritti. (…) Perché un soggetto non vaccinato non può prendere un treno, un autobus, un aereo, ossia non può sostanzialmente spostarsi con nessun mezzo di linea anche se ha un tampone negativo che ne dimostra la carenza di virus, vale a dire il medesimo test la cui affidabilità è invece considerata piena per il positivo che intenda attestare la cessazione della carica virale? Negli esempi proposti, la reale finalità, ossia la coercizione vaccinale, è nascosta solo a chi non voglia vederla. (…) Ma il certificato verde è realmente idoneo a prevenire la diffusione del virus? Certamente no, è anzi nozione pacifica e di constatazione quotidiana che il vaccinato contagia e si contagia, ossia che è portatore di carica virale. Interviene qui copiosa evidenza diretta, di cronaca, scientifica, ci sono i numeri dell’ISS sui vaccinati risultati positivi. In definitiva, disporre di un Green Pass (a meno di non avere superato un test negativo) non vuol assolutamente dire non avere il virus e non diffonderlo. Peraltro la reazione del sistema immunitario indotta dal farmaco decade rapidamente. Le varianti sono sempre più impermeabili. Questo basta a travolgere la dichiarata finalità di prevenzione della diffusione: il certificato appare idoneo a prevenire la diffusione del virus solo se generato da tampone negativo recente, a prescindere dal fatto che il soggetto sia o non sia vaccinato. Avere ricevuto, in un certo tempo passato, un’inoculazione e poterlo attestare con un certificato non ha alcuna seria implicazione rispetto alla veicolazione attuale del contagio. Per la precisione, e ancorché possa di primo acchito apparire controintuitivo, l’implementazione nazionale del certificato verde ha semmai favorito l’ampio diffondersi del patogeno, avendo appunto dispensato il vaccinato da verifiche periodiche sulla sussistenza di evidenze virali (tampone), e indotto a identificare l’immunizzazione con il possesso materiale del certificato, una sorta di incorporazione della salute nel titolo, due cose diversissime che tuttavia inducono affidamento e quinGiova ricordare che già con parere del 31 marzo 2021 le due autorità pilastro della tutela dei dati personali nell’Unione europea, ossia EDPB e EDPS (nell’acronimo italiano “GEPD”) avvertivano “che si dovrebbe operare una distinzione chiara tra i termini ‘certificato di vaccinazione’, che indica l’attestato rilasciato a una persona che ha ricevuto un vaccino anti COVID-19, e ‘certificato di immunità’”, cfr. Parere congiunto n. 4/2021, § 11. Sempre nel marzo 2021 si leggeva nelle FAQ dell’Istituto superiore di sanità: “[N]on è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone”. Eppure si è andati avanti con l’implementazione del pass.di condotte imprudenti. (….)Lo stesso legislatore nazionale mostrava piena contezza del fatto che il vaccinato potesse infettare già a metà dell’anno 2021, tanto da contemplare tale possibilità all’art. 8 DPCM 17 giugno 2021 e poi ancora in settembre introducendo la lett. c-bis) all’art. 9, co. 2 DL 52/2021.Addirittura fino al DPCM 17 dicembre 2021 è stata possibile la circolazione di svariate migliaia di persone certificate positive, dunque certamente portatrici di carica virale, ma dotate di green pass valido, a causa della mancata revoca. Quanti focolai hanno generato? (…) Con provvedimento del 1° marzo 2021 [9550331], il Garante avvertiva: “I dati relativi allo stato vaccinale, infatti, sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali”. Identiche considerazioni erano contenute nel citato avvertimento del 23 aprile 2021. Analogo scenario era paventato nel ricordato parere congiunto EDPB-EDPS del 31 marzo 2021. Il principio di non discriminazione informa l’intero impianto del Reg. (UE) 2021/953 sul certificato digitale europeo, nel cui quadro si inserisce sistematicamente l’applicazione nazionale italiana. In particolare vedasi il cons. 36, norma giuridica a tutti gli effetti: “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio […] perché […] hanno scelto di non essere vaccinate”, periodo quest’ultimo inescusabilmente soppresso nella sola traduzione italiana, poi rettificata con intervento in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 211 del 15 giugno 2021. (..) Si aggiunga la recente impossibilità addirittura di fare ingresso in luoghi essenziali come la posta, la banca, i pubblici uffici (escluse poche attività indifferibili e urgenti), se non dopo avere attentamente programmato un tampone, limitazione questa del tutto sconosciuta ai vaccinati con terza dose, nonostante la piena e pacifica idoneità di costoro alla diffusione del contagio. Per inviare una raccomandata o ritirare la pensione, frutto di una vita di lavoro, occorre sottoporsi a un accertamento sanitario? Sono compressioni hardcore di libertà, di dignità e di spazi di vita che trovano la loro fonte non nella ragione ma nel potere di chi le impone. E infatti, esiste forse mai un’analisi del rischio che giustifichi queste “discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali”, un’analisi che provi l’utilità di escludere il pensionato, se non previo tampone, dal ritiro mensile del denaro di una vita? Ma certo che non esiste, e allora si tratta solo di splendido esercizio di assolutismo settecentesco, di concessione graziosa di privilegi agli obbedienti. Non c’è altra conclusione possibile. (…) Addirittura ai non vaccinati e ai vaccinati senza terzo richiamo è del tutto precluso, al momento in cui si scrive, l’accesso a ristoranti, a hotel e a mezzi di trasporto di linea, che determina peraltro impossibilità lavorative e blocca territorialmente persone, impedendo perfino il rientro nell’abitazione di residenza. Anche qui non c’è nessuna analisi del rischio: addirittura escludiamo persone con un tampone negativo. È un’ablazione incomprensibile di diritti fondamentali, in contrasto frontale con l’art. 52 CDFUE (…) È appena il caso di rammentare che nel provvedimento del 9 giugno 2021 [9668064] il Garante precisava: “Si ritiene utile evidenziare l’opportunità che sia normativamente previsto che la presentazione della certificazione verde, come misura di sanità pubblica, non operi per quelle attività che comportano l’accesso a luoghi in cui si svolgono attività quotidiane (es. ristoranti, luoghi di lavoro, negozi, ecc.) o a quelli legati all’esercizio di diritti e libertà fondamentali (es. diritto di riunione, libertà di culto, ecc.) (sul punto cfr. anche la richiamata deliberazione della CNIL del 7 giugno 2021)”. Si è disattesa questa richiesta, con l’eccezione del rispetto della pietas religiosa. (…)l Garante precisava rispetto alla conformità dell’app VerificaC19: “Il soggetto deputato al controllo non viene, quindi, a conoscenza della condizione (vaccinazione, guarigione, esito negativo di un test Covid-19) alla base della quale è stata emessa la certificazione”. Oggi, l’app permette di verificare se il pass corrisponde alla versione “base” o “rafforzata”, dunque di conoscere se il portatore abbia ottenuto o non ottenuto il pass in seguito a tampone. E quello sopra riportato è solo un minimo campione delle violazioni”.
In data 31 gennaio 2022 sul sito liberopensiero2019 si esprime al riguardo anche l’avvocato Francesco Cinquemani:
Chiunque intenda procedere alla verifica del c.d. «green pass» (nonché dei certificati equipollenti ex art.3 comma VIII del Regolamento UE 953-2021, punto 3) deve rispettare, in quanto norma sovraordinata, la Costituzione e ogni regolamento UE, tra cui il regolamento generale sulla protezione dei dati numero 679 del 2016 (anche noto come GDPR).
Questi deve essere espressamente nominato dal Titolare del trattamento (Ministero della Salute) e deve osservare le seguenti disposizioni:
- 29 GDPR (il responsabile del trattamento dei dati, o chiunque agisca sotto la sua autorità, e che abbia accesso ai dati personali, deve essere istruito dal titolare del trattamento);
- 32 GDPR, paragrafo 4 (chiunque agisca sotto l’autorità del titolare e abbia accesso ai dati personali, non deve trattare tali dati se non è istruito in tal senso dal titolare del trattamento);
- 39 GDPR (Il Data Protection Officer deve curare la sensibilizzazione e la formazione del personale che partecipa ai trattamenti e alle attività di controllo).
Quindi, il soggetto che intenda controllare la Certificazione COVID-19 deve: - essere stato nominato Responsabile del trattamento dati dal Titolare del trattamento dati (Ministero della Salute);
- avere assolto all’obbligo di formarsi ex artt. 29, 32, 39 del GDPR.
- rilasciare l’informativa relativa al «quadro di fiducia» all’interno del quale si collocano le proc– i soggetti deputati al controllo delle certificazioni;
- le misure per assicurare la protezione dei dati personali sensibili contenuti nelle certificazioni (art.9 DL 52).
Ma secondo quanto stabilito dal DPCM firmato il 17 giugno 2021 dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, le figure autorizzate a controllare il certificato sono indicate all’art. 13 comma 2.”Alla verifica di cui al comma 1 sono deputati:
- i pubblici ufficiali nell’esercizio delle relative funzioni;
- il personale addetto ai servizi di controllo delle attività. di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, iscritto nell’elenco di cui all’art. 3, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94;
- i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali e’ prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonché i loro delegati;
- il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attivita’ per partecipare ai quali e’ prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonche’ i loro delegati;
- i vettori aerei, marittimi e terrestri, nonche’ i loro delegati;
- i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali per l’accesso alle quali, in qualita’ di visitatori, sia prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonche’ i loro delegati.
Al comma. 3. I soggetti delegati di cui alle lettere c), d), e) ed f) del comma 2 sono incaricati con atto formale recante le necessarie istruzioni sull’esercizio dell’attivita’ di verifica”.
Tale DPCM è stato modificato dal DPCM del 17 dicembre 2021 che sembra dettare condizioni ancora più stringenti, anche rispetto a quelle previste dal GDPR, in quanto l’art. 1, comma 7, lettera h) prevede che “Tutti i soggetti preposti alla verifica del possesso delle certificazioni verdi in corso di validità devono essere appositamente autorizzati dal titolare del trattamento, ai sensi degli articoli 29 e 32, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 2016/679 e 2-quaterdecies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e devono ricevere le necessarie istruzioni in merito al trattamento dei dati connesso all’attività di verifica”. Escludendo quindi qualunque possibilità che a emettere l’eventuale delega possa essere un Responsabile del trattamento dati anziché il Titolare stesso. Alla luce dell’ultimo DPCM del 17 dicembre 2021 e della normativa nazionale (l’art. 9 comma 10 del D.L. 52 convertito in Legge 87/2021) ed europea vigente, la verifica del GP non è nelle competenze delle FdO (neanche dei NAS!), né delle ASL, né dei datori di lavoro e tanto meno dei ristoratori, trasportatori, medici, bidelli o altre figure!!
La situazione italiana ha destato persino la reazione di Amnesty International che pochi giorni fa così si è espressa sul proprio sito:
‘Amnesty International Italia continua a sollecitare il governo ad ancorare i propri interventi ai principi di legalità, legittimità, necessità, proporzionalità e non discriminazione. Qualsiasi politica di salute pubblica, inoltre, deve essere basata sull’evidenza scientifica più aggiornata e verificabile, motivata da comprovate ragioni oggettive e accompagnata da metodi di comunicazione chiari e trasparenti.’
Il Washington Post invece si era espresso in modo molto critico e dubbioso proprio sul lasciapassare italiano già lo scorso Ottobre quando ha definito l’Italia un ‘laboratorio mondiale per la gestione della pandemia’ spingendosi in ‘territori inesplorati dalle democrazie occidentali’ al fine di capire ‘che livello di controllo la società sia disposta ad accettare’ (L’indipendente, 19.10.21).
Tra i titoli degli ultimi giorni grande clamore ha suscitato il titolo del Wall Street Journal (29.1.2022) ‘In Italy No Dolce Vita for the Unvaccinated’.
Obiettivamente non è una bella immagine per il Paese, a sommesso avviso di chi scrive. Stiamo diventando un caso di preoccupazione internazionale. E interna.
Si dice sempre che chi è fuori dalle cose le vede con maggiore chiarezza, ci chiediamo se non sia vero anche in questo caso.
Certo è che la Dolce Vita ormai impossibile in Italia per una buona parte della sua popolazione richiama subito alla mente la Dolce Vita Caprese, quell’atmosfera serena e rilassante che ha segnato un’epoca, e che ha fatto dell’isola di Capri l’isola del sogno, il viaggio della vita, l’isola dei Faraglioni e della Grotta Azzurra.
Allora ci chiediamo, come sta affrontando la situazione l’isola di Capri, amata e conosciuta in tutto il mondo, meta di turismo nazionale e internazionale? Sta consentendo agli italiani di raggiungerla, garantendo la continuità territoriale vista la presenza del mare che la separa dalla terraferma? L’isola di Capri e non solo essa sembrano essere in un lockdown di fatto mentre nessun lockdown è mai stato decretato né a livello nazionale né territoriale. Sappiamo che il Comune di Capri ha deliberato una deroga per motivi di studio e salute, ma tale deroga evidentemente non soddisfa affatto l’esigenza di un traghettamento indispensabile e imprescindibile dalla terraferma, per altri motivi, vari e variegati, che sia raggiungere la propria residenza o domicilio, o espletare impegni lavorativi o concludere appuntamenti di lavoro a scopo di investimento o semplicemente fare turismo e quindi fare girare l’economia del territorio. Cosa sta facendo il Comune di Capri per risolvere al più presto questa situazione incresciosa? E le altre isole del Golfo? Quale pensano sia l’opinione pubblica di turisti e investitori riguardo tale vistoso e sconcertante impedimento alla continuità territoriale?