Al Manchester la Champions
A Istanbul i Citizens completano il Triplete dopo la Premier League e la Fa Cup, i nerazzurri non riescono a tornare sul tetto d’Europa dopo 13 anni
ISTANBUL — Il Manchester City rompe l’incantesimo, vince la prima Champions della sua storia, centra la tripletta che era riuscita nel 1999 all’altra squadra di Manchester, lo United.
Ma l’Inter esce a testa altissima e piena di rimpianti. Cede per il gol di Rodri, nel cuore del secondo tempo, un destro piazzato che muore sul palo alla sinistra di Onana, ma nel finale, con l’anima, il cuore e il coraggio, mette alle corde la squadra più forte del mondo. Manca la precisione e anche un po’ di fortuna.
Ederson, il portiere di Guardiola, è il migliore dei Citizens insieme al cecchino della serata.
Gli interisti sprecano troppo: sullo 0-0 Lautaro è troppo egoista e non serve al centro Lukaku, appena entrato. Dimarco, quattro minuti dopo il gol inglese, colpisce nella stessa azione prima la traversa e poi proprio Romelu. Non è la serata giusta per il belga.
Quando Inzaghi lo inserisce al posto di Dzeko, l’impressione è che la partita possa cambiare e invece è il momento in cui il City, non in una delle notti migliori, dà la svolta. Lukaku a un minuto dal novantesimo sbaglia il pareggio di testa, deviando centrale l’assist di Gosens. E lo stesso Gosens, all’ultima palla, esalta ancora i riflessi di Ederson.
L’Inter esce sconfitta, ma non ridimensionata. Gioca alla pari, spaventa i giganti inglesi, torna a casa con la rabbia nel cuore, sostenuta dall’applauso della sua gente.
Perdiamo tre finali su tre, una specie di triplete all’incontrario, un record doloroso, ma ogni volta meritando un risultato diverso. È successo prima alla Roma, poi alla Fiorentina e adesso all’Inter il cui pronostico, alla vigilia, sembrava chiuso.
Guardiola festeggia la sua terza Champions da allenatore, il suo secondo triplete e il trentacinquesimo trofeo della sua carriera, ma nella notte dell’Ataturk Inzaghi è più bravo di lui, più lucido anche nelle mosse e sempre in partita.
Novanta minuti sfortunati per Simone, che si ferma dopo aver vinto sette Coppe consecutive.
L’Inter onora la Champions e per una volta è tradita dalle sue stelle in attacco. Il City fa la partita sin dall’inizio, ma l’Inter la gestisce con sicurezza e leggerezza, più libera di testa e più reattiva nelle gambe, abile soprattutto a abbassare il ritmo. I nerazzurri partono con il pressing alto che sorprende la banda di Pep e chiudono il primo tempo difendendosi con ordine intorno a un super Acerbi.
La squadra di Guardiola è la pallida copia dello squadrone che ha vinto già due titoli con un calcio organizzato e veloce. Il giro palla è lento, gli errori tecnici si moltiplicano, Bernardo Silva e Grealish non riescono mai a accendersi sulle corsie esterno, De Bruyne dopo 36 minuti pallidi esce per un problema fisico (dentro Foden). Il temutissimo Haaland ha un solo pallone giocabile ed è lesto a fiondarsi nell’area, ma lo è di più Onana a respingere con un braccio.
L’ingresso di Lukaku dopo dieci minuti del secondo tempo al posto dell’acciaccato Dzeko sembra la possibile svolta. E invece, dopo l’errore di Lautaro, segna Rodri nell’unica circostanza in cui l’Inter si fa prendere in velocità.
È vero che Foden ha la possibilità di raddoppiare dieci minuti dopo il vantaggio, ma le occasioni vere e più belle nel finale sono dei nerazzurri.
«Così fa male», dice Inzaghi, dopo la gara