Abbiamo il record delle tasse e un’inflazione galoppante. Adesso il governo è al bivio
Allarme Cgia di Mestre: pressione al 43,5% nel 2021. Famiglie in crisi difficoltà sui mutui, prezzi in aumento fino al 26%
L’anno scorso la pressione fiscale in Italia ha toccato il record storico del 43,5% del Pil , nel 2022, invece, è destinata a scendere al 43,1 per cento. È quanto ha ricordato ieri l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, sulla base dei dati dell’Istat e del ministero dell’Economia. Solo il prossimo 7 giugno (un giorno prima del 2021) gli italiani celebreranno il giorno di liberazione fiscale (o «tax freedom day»). Dopo più di 5 mesi dall’inizio del 2022 (pari a 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche), il contribuente medio italiano smetterà di lavorare per pagare tutti gli obblighi fiscali dell’anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, Irap, Ires, contributi previdenziali, ecc.) e dal 7 giugno inizierà a guadagnare per sé e per la propria famiglia.
Il consueto esercizio teorico degli artigiani mestrini è interessante sotto due punti di vista. Il primo è che, paragonando l’Italia agli altri Paesi europei, solo la Francia tra i grandi ha un fisco più esoso. Il confronto, effettuato sulla base dei dati 2020, evidenzia che il 42,8% (tra l’altro legato alle varie moratorie fiscali) è superato tra i big del Vecchio Continente solo dal 47,9% d’Oltralpe, secondo alla Danimarca (48%).
Il secondo attiene all’andamento degli ultimi 28 anni. La serie storica, ricostruita dalla Cgia a partire dal 1995, evidenzia come il giorno di liberazione fiscale più precoce sia stato nel 2005. In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso tutte le scadenze fiscali. In effetti, proprio il 2004 e il 2005 (gli unici due anni di vigenza effettiva della riforma fiscale Berlusconi) furono caratterizzati da una pressione fiscale del 39,2 e del 39%, le più basse del periodo considerato dagli artigiani mestrini.
Occorre, pertanto, effettuare una riflessione su quale direzione intraprendere nella riforma fiscale: un bivio che il governo Draghi tra breve dovrà attraversare. Si tratta, cioè, di scegliere se il Fisco debba avere una funzione redistributiva, ossia penalizzare i redditi medio-alti (il 4% dei contribuenti sopra i 70mila euro di reddito Irpef paga il 28% dell’imposta totale) per erogare bonus ai meno abbienti. Oppure se tagliare le tasse in funzione dello sviluppo, evitando le trappole della riforma del catasto e della tassazione del risparmio.
Ci sono, però, due situazioni con le quali confrontarsi. Il primo è stato comunicato dalla Fabi (il principale sindacato bancario) riguarda la crescita di circa un miliardo negli ultimi 12 mesi delle rate non pagate relative ai mutui e ai prestiti concessi dalle banche. Il totale delle sofferenze delle famiglie è passato, da febbraio 2021 a febbraio 2022, da 11,6 miliardi a 12,4 miliardi (+7% annuo). L’effetto combinato dei postumi della pandemia e del rialzo dell’inflazione ha peggiorato la situazione economica delle famiglie. Il Codacons ha invece sottolineato che il pranzo di Pasqua costerà 100 milioni in più a causa dei rincari degli ingredienti. I principali balzi sono quelli dell’olio di semi (+25,9% annuo), del burro (+17,6%) e della pasta (+13%). Per un chilo di farina si spende il 10,7% in più.
Nel 2022 lo Stato incasserà quasi 40 miliardi di maggiori entrate fiscali. Secondo la Cgia, occorre restituire questi soldi reintroducendo il fiscal drag, ossia l’adeguamento automatico del prelievo fiscale a fattori come l’inflazione e la crescita economica che generalmente comportano un aggravio. Nel 2022, invece, il peso del fisco è destinato a diminuire di 0,4 punti percentuali in un contesto di crescita economica meno vivace. Le prime mosse del governo Draghi sono state decisive. Ora si tratta di proseguire.