La Pfizer teme la diffusione dei dati sul vaccino
La Pfizer teme la diffusione dei dati sull’efficacia e sugli effetti collaterali relativi al vaccino anti-Covid da lei prodotto nonché le conseguenze sugli affari della fine della pandemia. È tutto scritto nero su bianco nell’ultimo rapporto rilasciato dallo stesso colosso farmaceutico, relativo agli utili nel quarto trimestre 2021. Nel capitolo intitolato “Rischi relativi al nostro Business, al settore e alle operazioni e allo sviluppo dell’attività” si leggono parole gravi, che lasciano tanto più colpiti in quanto scritte pubblicamente senza, evidentemente, che vi sia alcun timore che queste generino legittime rimostranze da parte dei Governi, come sarebbe lecito aspettarsi. “Vi è il rischio che un maggiore utilizzo del vaccino o di Paxlovid porti ad ulteriori informazioni sull’efficacia, la sicurezza o altri sviluppi, incluso il pericolo di ulteriori reazioni avverse, alcune delle quali possono essere gravi” si legge a pagina 39 del rapporto. Mentre a poche righe di distanza si accenna ai rischi economici derivanti dalla “possibilità che il Covid19 diminuisca in severità o diffusione o che scompaia interamente”.
Fin dalla prima pagina del documento sono presentati i dati attinenti ai ricavi dell’azienda rapportati a quelli conseguiti nel 2020: la Pfizer ha registrato un fatturato complessivo di 81,3 miliardi di dollari, con una crescita del 92% rispetto all’anno precedente e ciò, quasi esclusivamente, grazie alla vendita dei vaccini anti-Covid. Ad offuscare questo eccezionale scenario economico, vi sono appunto le preoccupazioni relative ai dati clinici e preclinici, all’efficacia e agli effetti avversi dei sieri anti-Covid19, analizzate meticolosamente nel report in questione. Questi rischi riguardano innanzitutto la diffusione di ulteriori dati clinici e preclinici, soprattutto dopo che un giudice federale del Texas ha imposto alla FDA di pubblicare 55000 pagine al mese della documentazione dei test clinici del vaccino Pfizer-BionTech. Si legge, dunque, che i problemi per l’attività della multinazionale potrebbero derivare, tra gli altri, dal “rischio associato ai dati preclinici e clinici (compresi i dati della fase 1/2/3 o della fase 4 per Comirnaty), inclusa la possibilità di ulteriori informazioni riguardanti la qualità dei dati preclinici, clinici e di sicurezza che possono emergere in seguito a audit e ispezioni”.
Nonostante questi timori riguardanti i dati della sperimentazione e l’evoluzione della situazione pandemica, il presidente e amministratore delegato, Albert Bourla, ha messo in luce gli enormi successi della compagnia conseguiti negli ultimi due anni i quali, a suo dire, «hanno fondamentalmente cambiato la Pfizer e la sua cultura per sempre». Lo stesso Bourla, guardando al futuro prossimo, ha dichiarato: «Ovunque nella compagnia vedo colleghi ispirati da ciò che abbiamo raggiunto e determinati a fare parte della prossima svolta che può cambiare il mondo per i pazienti in difficoltà. Siccome entriamo nel nuovo anno, non vedo l’ora di vedere tutto quello che realizzeremo insieme». Infine, Bourla ha recentemente asserito che non esclude la necessità di una quarta dose e l’ipotesi di richiami per diversi anni, in quanto «il virus non andrà via e presumiamo che resti per un decennio. […] Per questo si è fatta strada l’ipotesi di una quarta dose almeno prima di procedere con la regolare vaccinazione annuale».
Le case produttrici di farmaci sono, prima di ogni altra cosa, aziende che in quanto tali puntano a generare profitto. Non deve quindi sorprendere né scandalizzare che il documento Pfizer parli della pandemia come di un affare, né che speri nella quarta dose o nei richiami annuali. Quello che però colpisce, è l’assenza di reazioni pubbliche da parte degli enti europei e internazionali deputati alla salute pubblica (innanzitutto Ema e Oms) all’evidente timore rispetto a quanto si potrebbe scoprire nel prossimo futuro sulla qualità dei dati preclinici e clinici prodotti, sull’efficacia stessa del vaccino e sulle reazioni avverse. Siamo di fronte a una azienda che, in buona sostanza, palesa la possibilità che venga fuori che il farmaco da lei prodotto, e che già è stato somministrato a centinaia di milioni di persone, sia stato testato con procedure imperfette, sia meno efficacie di quanto comunicato e sia al tempo stesso più pericoloso. Non a caso poche settimane fa il British Medical Journal, una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, ha evidenziato in un editoriale dai toni molto duri la necessità che i ricercatori abbiano immediatamente l’accesso ai dati grezzi raccolti nelle sperimentazioni dei vaccini anti-Covid. Per ora nessuno li ha ascoltati.