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gIANMARIA: «La musica mi ha salvato»

gIANMARIA «La musica mi ha salvato»

Nonostante abbia appena diciannove anni e sia all’inizio della carriera, gIANMARIA ha scelto di affrontare subito quello che nel suo mestiere non gli è ancora capitato ma che rimane l’ombra nera di molti artisti, navigati ed esordienti che siano: la possibilità di fallire. Il primo album di questa giovane promessa arrivata seconda all’ultima edizione di X Factor si intitola proprio così: Fallirò, un modo per esorcizzare le cose che non andranno bene ma che dovremmo accettare con serenità perché, dopotutto, senza caduta non potrebbe esserci risalita, che sia nel lavoro o nella vita. «Guardare in faccia il fallimento e dire che non è poi così tanto male è la chiave di tutto, la spinta per avere di nuovo successo», racconta gIANMARIA in collegamento su Zoom dalla cucina dell’appartamento di suo padre a Vicenza. Capelli biondi, volto imberbe, fisico filiforme, gIANMARIA apre il cassetto delle sue emozioni e parla di molti dei temi affrontati nelle canzoni contenute all’interno dell’album: dal silenzio all’amore, dal disagio alla paura del futuro.

Parla spesso del silenzio come una risorsa da sfruttare: come mai?
«Penso che sia molto importante e che, spesso, venga visto come una cosa imbarazzante da interrompere. Eppure io lo vedo come una condizione interessante, capace di offrirmi molti spunti di riflessione».

Cosa spaventa del silenzio?
«Non sono un sociologo, ma penso che dipenda dal fatto che siamo degli animali sociali fatti per stare a contatto con le persone, parlare. L’importante è bilanciare le due cose».

Non le fa paura il silenzio, ma neanche il fallimento.
«È una spinta per rinascere, per dare il meglio di sé, per valorizzarci al meglio». 

Dire «ho fallito» ad alta voce secondo lei aiuta?
«Assolutamente sì. Sarebbe troppo facile parlare solo del bello e dei successi». 

Nella vita pensa di aver fallito in qualcosa? 
«Penso di aver fallito nella normalità. Ho fallito come studente e come figlio. Verso i 13 anni mi sono fermato: non ce la facevo più a studiare per trovarmi un lavoro normale, a stare a Vicenza, a tornare in orario a casa la sera. Sono cose per cui ho sofferto perché i miei genitori non erano felici di me. Ora li ringrazio per questo».

Sempre a 13 anni inizia a dedicarsi alla musica.
«Prima ero perso, avevo tante passioni passeggere che poi cambiavo. Quando è arrivata la musica, ho capito che era diverso». 

Il pallino quando è arrivato?
«Quando ho cominciato a scrivere poesie, pensieri del giorno, ed è partita la passione forte di ascoltare la musica, che mi ha salvato. Dopo averla amata così tanto, per caso sono capitato a farla: ho trovato un microfono e mi sono registrato. Lì ho capito che sarebbe stata la cosa che avrei fatto per tutta la vita».

Quale musica l’ha salvata?
«La prima che ho scoperto è stato il rap italiano: Salmo, ma anche canzoni più riflessive. Poi il rap americano classico – mi affascinava la denuncia dei ragazzi di colore dell’epoca – e la trap. Negli ultimi tre anni, sto studiando di più».

Curioso che citi Salmo, visto che ha deciso di intitolare il suo ultimo disco Flop, esorcizzando anche lui il fallimento.
«Penso che lui lo abbia fatto per una sorta di provocazione: la mia è una riflessione. Sarebbe più figo se fosse stato anche nel mio caso una provocazione, ma non ho il percepito per fare una cosa del genere».

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