Evoluzione della robotica: arriva l’androide in grado di riprodursi, ma non solo
Prima si consideravano robot le macchine metalliche con sembianze quasi umane, mentre ora si tende a definire robot qualsiasi dispositivo con una memoria e un programma. Particolarmente interessanti sono quelli in miniatura, che imitano le azioni umane o i processi corporei.Una delle ultime conquiste sono gli xenobot, composti di cellule viventi, capaci di produrre copie di sé. In questo articolo approfondiamo proprio questo tema.
Una creatura sconosciuta
Lo scorso anno, gli scienziati della Tufts University hanno coltivato dei micro-biorobot a partire da cellule staminali embrionali della rana sudafricana Xenopus laevis. Queste “macchine viventi” sono state chiamate xenobot. Si tratta di composti sferici, lunghi pochi millimetri, ma composti da alcune migliaia di cellule della pelle e del cuore. Le cellule cutanee consentono loro di mantenere la forma, mentre quelle cardiache di muoversi. Gli xenobot presentano delle ciglia, che usano per nuotare. Queste “creature” vivono per alcuni giorni grazie alle proprie scorte interne, mentre nei terreni di coltura riescono a sopravvivere per diversi mesi. Sono in grado di guarire le ferite e raccogliere le particelle di ruggine.
Agli xenobot è stata poi conferita una memoria. Questo è stato possibile iniettando una matrice RNA nelle cellule staminali della rana che codificano la proteina fluorescente EosFP. Dopo l’esposizione alla luce ordinaria, gli xenobot emettono luce verde per tutta la loro breve vita, ma, quando sono esposti alla luce blu, diventano rossi. Così, come se fossero dei sensori, in futuro potrebbero essere in grado di rilevare le radiazioni e gli inquinanti chimici.
Ma la cosa più sorprendente è che queste creature sono in grado di “moltiplicarsi”. Gli scienziati hanno notato che gli xenobot nelle piastre di Petri si erano auto-assemblati a singole cellule, fino a formare dei “grumi”, da cui crescono gradualmente nuove copie. Gli esperimenti hanno dimostrato che 12 xenobot collocati in un ammasso caotico di 60.000 cellule separate danno vita spontaneamente a una o due nuove generazioni. E, ad ogni stadio di replicazione, nascono bot sempre più piccoli. I “nipoti”, composti da meno di 50 cellule, non sono più in grado di nuotare o di “riprodursi”.Con l’aiuto di un supercomputer, i ricercatori hanno passato al vaglio diverse opzioni e hanno capito quale forma conferire agli xenobot per fare in modo che si riproducessero meglio. La simulazione ha consentito di identificare la configurazione migliore, ossia quella di una sfera gialla, come quella di Pac Man. Questi micro-biorobot sono riusciti a sviluppare ben 4 generazioni, ossia il doppio rispetto agli altri.
I ricercatori credono che gli xenobot potrebbero essere di grande aiuto per l’umanità, se insegnassimo loro a effettuare controlli su parametri ambientali, a raccogliere microplastiche nell’oceano, a portare farmaci all’interno del corpo umano e liberare i vasi sanguigni dalle placche. Inoltre, gli autori sperano, grazie agli esperimenti, di comprendere come si riprodussero i primi organismi sul nostro pianeta.
Robot salterino
Un’altra novità è che un team di scienziati cinesi ha messo a punto un robot saltatore piatto, prodotto a partire da materiali flessibili, che si è dimostrato superiore ai suoi predecessori. È lungo 6,5 cm e alto 4 mm. Salta fino a circa 3 cm e si muove a 40 cm/s. Inoltre, riesce a superare ostacoli e ad effettuare manovre, ruotando di 139° al secondo. Gli autori dello studio, pubblicato il 7 dicembre sulla rivista Nature Communications, osservano che soltanto pochi robot saltatori prodotti con questi materiali sono in grado di effettuare rapidi salti uno dopo l’altro e rotazioni controllate. Il dispositivo è composto da 2 moduli semicircolari in plastica, tenuti assieme da un anello flessibile. Un modulo è riempito con un fluido dielettrico, l’altro di aria. All’interno vi sono degli elettrodi. Il dispositivo funziona grazie a un attuatore elettrostatico. Se vengono collegati i sensori, il dispositivo è in grado di registrare la temperatura e la radiazione ultravioletta, e rilevare i contaminanti. I ricercatori prevedono altresì di mettere a punto robot in grado di arrampicarsi, galleggiare e volare.
A livello nano
Un’altra tendenza promettente è lo sviluppo dei nanorobot. Questi dispositivi, di dimensioni paragonabili a quelle di una molecola, si muovono in modo indipendente e svolgono determinate funzioni. Le macchine prodotte a partire dal DNA sono di particolare interesse, perché possono essere usate in medicina.
Per esempio, nel 2018 un gruppo di scienziati cinesi ha progettato per la prima volta un nanorobot basato sul DNA che sconfigge le cellule tumorali. L’esperimento è stato condotto su cavie da laboratorio. Un foglio di molecole di DNA è stato attorcigliato attorno a un tubo, secondo una tecnica denominata “origami a DNA”. All’interno hanno collocato la trombina, ossia l’enzima responsabile della coagulazione del sangue. Il nanorobot è in grado di riconoscere le cellule cancerose, previa identificazione della nucleolina, una proteina speciale prodotta sulla loro superficie. Una volta avvenuta l’interazione con la nucleolina, il foglio di DNA si dispiega e la trombina entra nei vasi sanguigni vicini alle cellule tumorali. Di conseguenza, queste ultime vengono private dell’ossigeno e delle sostanze nutritive.L’anno scorso, gli scienziati russi dell’Università di San Pietroburgo per le tecnologie dell’informazione e i loro colleghi della University of Central Florida hanno creato propri nanorobot basati sul DNA per combattere il cancro. Nello specifico, hanno fatto ricorso al desossiribosio, una molecola artificiale di DNA capace di scindere l’RNA. Li hanno testati su un modello di gene KRAS, che agisce in qualità di “interruttore molecolare” nella maggior parte dei tumori, attivando la crescita illimitata delle cellule. Il DNA robotico ha tagliato via con successo l’RNA patogeno, inibendo la produzione di una proteina potenzialmente portatrice di danni. Gli esperti intendono adattare questa macchina basata sul DNA, per farla operare all’interno di organismi viventi