Da André Breton a Ted Joans. A Monaco una mostra sull’impegno civile del Surrealismo
L’esposizione ripercorre quasi un secolo di arte surrealista, esponendo dipinti e documenti, in particolare le riviste dove venivano pubblicati i vari appelli contro la guerra e a favore della libertà dei popoli

Dalla nascita del movimento negli Anni Venti del Novecento, i surrealisti non hanno mai smesso di denunciare la politica coloniale europea, l’oppressione nazifascista, il franchismo, la guerra e le ingiustizie sociali del Novecento. Fino al 30 marzo 2025, una grande mostra alla Lenbachhaus celebra questa importante pagina del movimento, e la sua “onda lunga” da Parigi a Praga, passando per la Spagna e la Germania, fino agli Stati Uniti d’America dei nostri giorni.
La lotta civile del Surrealismo In un momento storico in cui l’Europa scopre al suo interno sacche di radicalismo destrorso, di conservatorismo sociale e di razzismo, è importante riscoprire l’impegno civile di movimenti artistici che hanno caratterizzato il Novecento, costruendo un patrimonio etico al quale si può e si deve ancora oggi attingere per costruire un fronte di resistenza. La Lenbachhaus di Monaco di Baviera dedica un’ampia retrospettiva al Surrealismo, focalizzandola su quello opere di denuncia o comunque di satira contro i vari regimi autoritari europei, ma anche l’oppressione coloniale in Africa, che hanno caratterizzata la lotta per la libertà dei pittori surrealisti.
La rivoluzione del Surrealismo a Monaco Una mostra in cui l’arte rivoluzionaria del Surrealismo è presentata per il suo potenziale civile, prima ancora che estetico; non era cosa da poco, fra gli Anni Venti e Trenta, levare una voce contro la guerra e il colonialismo, predicare l’uguaglianza degli esseri umani e combattere in prima persona per la libertà (non dimentichiamo che già nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti aveva glorificata la guerra come “sola igiene del mondo”). Creature bizzarre che ricordano Hieronymus Bosch, atmosfere inquietanti ottenute con sfondi scuri e indefiniti, corpi sfracellati in stile cubista, sono gli elementi di un’arte che ha combattuto i mostri della guerra e del totalitarismo. Da André Breton a Yves Tanguy, passando per Dora Maar, Pablo Picasso, André Masson, Roberto Matta, Max Ernst, Suzanne Césaire e Kati Horna, fino all’afroamericano Ted Joans, la mostra ripercorre quasi un secolo di arte surrealista, esponendo dipinti e documenti, in particolare le riviste dove venivano pubblicati i vari appelli contro la guerra e a favore della libertà dei popoli.
Il Surrealismo a Praga
Capitolo meno noto all’interno dell’avventura surrealista europea, la “sezione” praghese nacque dal movimento Devětsil, fondato nel 1920 da Jaroslav Seifert, Karel Teige e Vítězslav Nezval e che comprendeva scrittori, artisti, attori, designer, architetti e fotografi; lo scopo era quello di stabilire forti legami con la cultura popolare e le classi lavoratrici, caratteristiche che prevalevano anche nel gruppo surrealista. Il lavoro pittorico di Toyen (Marie Čermínová) e Jindřich Štyrský è stato essenziale per lo sviluppo dell’identità del gruppo: a partire dalla metà degli anni Venti elaborarono una forma dialettica di pittura in cui venivano mediate contraddizioni come primo piano e sfondo, prossimità e distanza, volume e vuoto. I surrealisti di Praga erano inizialmente sospettosi verso il Surrealismo parigino, e fu soltanto con la svolta marxista di Breton con il Secondo Manifesto del 1929 che si svilupparono legami più stretti fra i due gruppi fratelli. Il fotografo e poeta Jindřich Heisler si unì al gruppo nel 1938, nel momento dell’occupazione nazista, e in quanto ebreo era costretto a vivere in clandestinità; la collega Toyen lo nascose nel suo appartamento, dove realizzò le sue opere fotografiche. Un esempio di solidarietà umana e resistenza civile, che ha salvata la vita di un uomo e ha anche permesso la nascita di capolavori artistici.
Surrealisti e anticolonialismo La mostra offre anche l’occasione di conoscere a fondo l’impegno dei surrealisti nella difficile lotta per la libertà all’interno del contesto coloniale. Una pagina meno nota della storia del movimento, che però è fondamentale per capirne la statura etica, oltre che artistica. Infatti, sin dall’inizio il movimento si distinse per le sue attività politiche, attraverso la capillare diffusione di opuscoli, articoli e manifesti. Fra gli avvenimenti politici e culturali che contribuirono a plasmare l’attivismo anticoloniale dei surrealisti, la guerra del Rif in Marocco (1925-1926), tra Francia e Spagna, e l’Exposition Coloniale di Parigi (1931), che i surrealisti boicottarono, in accordo con il Partito comunista francese. L’onda lunga del Surrealismo giunse anche oltremare; all’epoca Parigi era la capitale mondiale della cultura, luogo d’incontro per intellettuali da tutto il mondo, e la rivista marxista-surrealista Légitime défense realizzata da un gruppo di studenti della Martinica, sollevò la “questione delle Antille”. Un’altra rivista importante fu il Bulletin international du surréalisme che apparve in quattro numeri bilingui a Praga, Santa Cruz de Tenerife, Bruxelles e Londra, a dimostrazione della diffusione del Surrealismo e del suo pensiero.
Il Surrealismo e l’arte italiana Negli anni Sessanta, con la fine dell’era coloniale, che in alcuni casi fu anche traumatica, il Surrealismo fece ancora sentire la sua voce: con il Grand tableau antifasciste collectif, l’artista e convinto anticolonialista Jean-Jacques Lebel realizzò un progetto artistico in solidarietà con Djamila Boupacha, l’attivista del Fronte di liberazione nazionale algerino, torturata e stuprata con la falsa accusa di aver tentato di far esplodere una bomba in un caffè di Algeri. L’opera, un dipinto che combina elementi stilistici del Surrealismo con il principio collaborativo del cadavre exquis e un linguaggio pittorico narrativo, ha anche radici italiane, perché vi collaborarono Enrico Baj, Roberto Crippa, Giovanni Dova e Antonio Recalcati. Doveva essere presentata per la prima volta nella mostra Anti-Procès 3 alla Galleria Brera di Milano nel giugno del 1961, ma poiché conteneva anche una copia del manifesto a favore dell’obiezione di coscienza in Algeria, l’opera venne sequestrata dai Carabinieri e restituita, danneggiata, soltanto 26 anni più tardi.
Il Surrealismo afroamericano
Visitare la mostra della Lenbachhaus significa anche compiere un viaggio nei differenti volti del movimento surrealista, anche nei decenni del secondo Novecento; si scopre infatti l’opera poliedrica di Ted Joans, pittore surrealista, trombettista jazz, poeta beat e regista, scomparso nel 2003, che ha a lungo collaborato con il Chicago Surrealist Group, e pubblicato volumi di poesie, romanzi collage e riviste. Le sue poesie e la sua arte spesso esploravano questioni sociali/razziali dalla prospettiva delle sue esperienze di membro di una minoranza nera all’interno di una società a maggioranza bianca, incoraggiando i colleghi nella lotta all’eurocentrismo e integrò il pensiero di Malcolm X e del movimento Black Power; inoltre, promosse l’opera dei surrealisti neri poco noti e non mancò mai di sottolineare l’importanza del ruolo delle donne all’interno del movimento. Ha vissuto secondo questo assunto: “Il jazz è la mia religione, il surrealismo è il mio punto di vista”, ma l’Africa la portava nel cuore e per quasi tre decenni ebbe una casa a Timbuktu e viaggiò molto in tutto il continente, creando un diario visivo dei suoi incontri.