Seymandi replica alla procura: “L’odio online non va normalizzato, sono basita dalle argomentazioni del pm”
Le critiche dell’imprenditrice dopo la richiesta di archiviazione alla sua denuncia sugli insulti ricevuti sui social a seguito della sua burrascosa separazione da Massimo Segre
(La Stampa). Cristina Seymandi critica la richiesta di archiviazione per gli insulti ricevuti via social, definendo anacronistico tollerare la violenza verbale in ambito digitale e sollevando dubbi sull’efficacia delle normative attuali contro il cyberbullismo.
«Sui social la violenza verbale non può essere normalizzata». Cristina Seymandi respinge con fermezza la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Torino sul caso degli insulti ricevuti via social. L’imprenditrice, protagonista di una burrascosa separazione da Massimo Segre nell’estate 2023, si dice «basita» dalle motivazioni del pm che doveva occuparsi di una sua denuncia sugli insulti ricevuti sui suoi profili social e che ha considerato i toni aggressivi sui social una pratica ormai consueta, presentando una richiesta di archiviazione.Violenza verbale e contesto sociale«È anacronistico, soprattutto dopo il 25 novembre», afferma Seymandi, collegando il caso alla recente Giornata contro la violenza sulle donne. «La violenza è solo fisica? Quella verbale non viene più contestata?», si domanda l’imprenditrice, sottolineando come questa posizione giuridica rischi di vanificare gli sforzi educativi contro il cyberbullismo nelle scuole.Critiche sulla disparità di trattamentoParticolarmente critica sulla disparità di trattamento basata sull’età: «Non è punibile chi insulta un’imprenditrice di quasi 50 anni mentre riconosciamo che su una donna di 20 o 25 anni l’insulto potrebbe avere effetti negativi tragici?». Seymandi conclude richiamando alla necessità di far rispettare i valori della società civile «sempre», indipendentemente dal contesto digitale o reale.Le motivazioni della ProcuraLa richiesta di archiviazione del pm Roberto Furlan si basa su un principio innovativo nella giurisprudenza: il contesto dei social media avrebbe reso «comune l’abitudine ai commenti con toni robusti e inurbani». Secondo la Procura, ciò che non è tollerato nel mondo reale diventa «quasi normale» sui social network. A questo si aggiunge la difficoltà pratica di identificare gli autori degli insulti, spesso nascosti dietro profili falsi. Sarà ora il GIP a dover valutare la richiesta di archiviazione.