“Dopo l’estate dei femminicidi no a proposte aberranti ma fondi straordinari”
Il ministro della Giustizia Nordio vorrebbe portare le vittime di violenza in carcere per sensibilizzare i detenuti. Ma dalle associazioni arriva il niet: “Sono altre le priorità” come ha raccontato Elisa Ercoli presidente dell’associazione Differenza Donna
servizio di Cristina D’Amicis per Today.it
Giulia Tramontano, la 29enne incinta di 7 mesi uccisa con 37 coltellate dal fidanzato, Sofia Castelli, la 20enne a cui è stata tagliata la gola “perché parlava di ragazzi”, Mara Fait, l’infermiera in pensione ammazzata dal vicino a colpi d’accetta davanti alla madre inerme, Celine Frei Matzohl, la 21enne accoltellata in casa dall’ex fidanzato, Anna Scala, la 54enne assassinata dall’ex compagno e lasciata nel bagagliaio di un auto e infine Rossella Nappini – 78esima vittima del 2023 – l’infermiera uccisa con una lama da 10 centimetri dal suo ex nell’androne del palazzo di casa.
In Italia una donna ogni tre giorni è vittima di omicidio, ma quella appena trascorsa è stata un’estate da incubo per il genere femminile. Cosa sta succedendo? Perché di femminicidi e di stupri di gruppo in Italia ne parla anche il quotidiano statunitense New York Times? Ma soprattutto cos’altro può fare il governo per fermare la strage? Ne abbiamo parlato con Elisa Ercoli, presidente dell’associazione Differenza Donna che gestisce il 1522, numero telefonico antiviolenza e stalking.
L’estate degli orrori
Questa volta siamo finiti anche sul New York Times, in un articolo in cui la corrispondente Gaia Pianigiani racconta ai lettori l’estate italiana delle violenze sulle donne. Femminicidi e stupri di gruppo, che secondo il giornale americano hanno “riaperto il dibattito sulle aree più degradate del Paese”. Vengono citate la violenza di gruppo sulle due cuginette di Caivano, alla periferia di Napoli, e quella a Palermo ma anche “casi di donne accoltellate, colpite da colpi di arma da fuoco o avvelenate dai loro partner o da persone conosciute”.
C’è di più, secondo la giornalista l’Italia “ha un atteggiamento sciovinista verso le donne”, e qui parte la dura critica contro il compagno della premier Andrea Giambruno sulle ragazze che si ubriacano e sul silenzio di Giorgia Meloni. “Secondo un recente rapporto dell’Istat, in Italia è ancora diffusa l’idea che le donne vittime di abusi siano in qualche modo colpevoli di aver provocato l’aggressione. Un atteggiamento che si ritrova nei commenti del compagno e padre della figlia della premier”, si legge nell’articolo, e soprattutto nei tribunali italiani dove sessualità e violenza sessuale spesso non sono distinte. “L’idea che le azioni o l’abbigliamento delle donne possano scatenare la violenza permea anche i giudici”, sottolinea il New York Times ricordando il caso di due 19enni assolti dal tribunale di Firenze per una “percezione errata del consenso”. Casi su cui è arrivata la condanna della Corte europea dei diritti umani e delle autorità delle nazioni unite.
Falsi stereotipi
Contrariamente a quanto si possa pensare il fenomeno della violenza maschile sulle donne non riguarda solo l’Italia. Dopo il picco registrato a livello internazionale durante la pandemia, il numero di donne uccise da familiari o partner è tornato sui livelli del 2019 (dati Eurostat 2015-2021). In Europa il paese dove da anni si registrano più femminicidi è la Germania (286 nel 2021), seguita dalla Francia (195). L’Italia, in questa impietosa classifica, si piazza al terzo posto con 148 omicidi (78 finora nel 2023 contro gli 81 dell’analogo periodo del 2022). Dietro di noi Spagna, Romania e Olanda.
Se però prendiamo lo stesso dato rapportandolo alla popolazione scopriamo che il nostro Paese ha uno dei tassi più bassi di vittime in Europa, 0,36 ogni 100mila donne come si vede nella tabella (Dati Unodc 2019).
La situazione più grave la troviamo in Lettonia e in Russia. Se allarghiamo la ricerca a tutto il mondo troviamo che la nazione con più femminicidi è El Salvador (13,83), seguita da Antigua e Barbuda (11,19) e dalla Jamaica (10,88). Gli Stati Uniti d’America sono al 43esimo posto con un tasso di omicidi sulle donne pari a 2,21 (dati 2018).
Un altro stereotipo diffuso riguarda gli autori dei femminicidi: sono spesso fidanzati, compagni, mariti o ex, ma soltanto il 28% ha una provenienza straniera, come rileva l’associazione D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, sottolineando che a commettere le violenze sulle donne sono prevalentemente italiani. Tuttavia, rispetto al dato del 2021, si registra un aumento di un punto percentuale per i maltrattanti di provenienza straniera.
Governo chiamato ad agire (ancora)
“Non si uccide né per troppo amore né per troppa passione”, ricorda Monica Lucarelli, Assessora alle politiche della sicurezza, attività produttive e pari opportunità di Roma sulle pagine di Today.it, invitando i giornalisti a non usare il termine “delitto passionale”, termine che fa pensare a una sorta di giustificazione. Tutti dobbiamo fare qualcosa per evitare che la violenza sulle donne si propaghi, ma il governo cosa sta facendo? A inizio giugno il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contro la violenza di genere, introducendo tra le tante cose l’applicazione automatica del braccialetto elettronico per i reati legati alla violenza di genere e l’arresto in flagranza differita per stalking, maltrattamenti in famiglia e violazione del divieto di avvicinamento.
Si tratta prevalentemente di misure che puntano alla prevenzione, una sorta di ‘cartellino giallo’ per l’uomo violento, per evitare che i cosiddetti “reati spia” possano degenerare in fatti più gravi. L’inasprimento delle leggi però sembra non bastare, si continuano a registrare eventi di una drammaticità inenarrabile. Cos’altro si può fare?
Prevenzione, protezione e persecuzione
“La Convenzione di Istanbul – ricorda Elisa Ercoli presidente dell’associazione Differenza Donna a Today.it – si basa su tre azioni che devono essere intraprese contemporaneamente per fermare la strage: prevenzione; protezione; persecuzione”. In Italia i dati sui femminicidi sono invariati rispetto allo scorso ma questo “non ci deve rasserenare perché i numeri veri sono nascosti dal sommerso, quello che emerge è solo la punta dell’iceberg”. La percezione della violenza sulle donne, chiosa Ercoli, è sicuramente cambiata grazie anche all’interesse dei media e questa è l’occasione giusta per chiedere al governo un maggiore impegno, soprattutto fondi straordinari da dedicare alla violenza contro le donne in aggiunta ai fondi del Piano nazionale antiviolenza.
“Dobbiamo occuparci di prevenzione, di campagne che ribaltino questo privilegio maschile di utilizzare un surplus di forza nelle relazioni. Serve una programmazione di lungo termine per queste campagne, di almeno 5 anni, ma soprattutto bisogna decidere come intervenire, chi deve intervenire e quali strumenti devono essere utilizzati”. Insomma, bisogna investire in formazione, perché la strada per limitare, bloccare questi atti vili e violenti passa attraverso l’educazione sociale, a partire dalle famiglie e dalle scuole dove deve essere insegnata la cultura del rispetto per l’altro. “È fondamentale partire dalle scuole – dichiara la presidente dell’associazione – ma serve un intervento più globale che parta ad esempio dai libri di testo, pieni di stereotipi e di cultura patriarcale dove la donna fa le torte e l’uomo torna a casa stanco dal lavoro”.
Ercoli ha ricordato che spesso noi italiani pensiamo di non avere problemi su questo fronte e invece non è così, anche perché siamo ultimi in Europa nell’occupazione femminile e nella condivisione dei lavori di cura. “Le donne per sfuggire alla violenza – ricorda – devono avere autonomia e indipendenza lavorativa ed economica”.
“Non servono pene più severe ma la certezza di avere giustizia”
Per quanto riguarda invece la proposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio di portare nelle carceri anche vittime di reati “in modo da far capire ai detenuti la gravità fisica, morale e psicologica di questi comportamenti odiosi”, la Ercoli non sembra essere assolutamente d’accordo. “La trovo aberrante, le sopravvissute hanno diritto di partecipare se vogliono ma non è questa la soluzione”, è solo uno specchietto per le allodole “mentre la domanda a cui dovrebbero rispondere è questa: Quanti soldi ci mettete”. Secondo la presidente dell’associazione non servono nemmeno pene più severe, perché l’importante è “avere la certezza di giustizia visto che ci sono ancora giudici che la negano a donne vittime di violenza nonostante i loro racconti precisi e puntuali, tanto che l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo diverse volte per sentenze sessiste, come ha ricordato anche il New York Times. Ecco perché servono fondi straordinari, anche per formare forze dell’ordine e giudici. Le donne devono avere pieno sostegno dalle autorità, non possono subire anche la violenza istituzionale”.